Letture
a cura di Luigia Sorrentino
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di Sonia Gentili
Nel Grado zero della scrittura (1953) Roland Barthes (nella foto) individua la crisi della letteratura divenuta codice e tradizione nel suo scontro con la realtà. Questo scontro determina la regressione della scrittura al suo «grado zero», cioè «ad una forma priva di retaggio»: ciò avviene, dice Barthes, nella «scrittura bianca di Camus» e nella «scrittura parlata di Queneau». Se si riconsiderano oggi, a sessant’anni di distanza, i due tipi di dialettica tra scrittura e realtà indicati da Barthes in Camus e in Queneau (Fotro sotto), vi si riconoscono due strade, maestre ed alternative, percorse dal Novecento letterario. In Camus l’elemento di realtà che segna le colonne d’Ercole della scrittura non è la parola quotidiana, ma il silenzio. La luce mediterranea che vivifica e distrugge, il silenzio vitale col suo carico di morte corrodono il linguaggio e fanno retrocedere la scrittura al di qua della tradizione letteraria, cioè nella preistoria del mito: quella di Camus è una voce iniziale, poetica e gnomica, che ha lo splendore scabro della pietra. All’opposto, in Queneau la realtà si dà come evidenza del quotidiano, e la scrittura è «parlata». Si tratta dello stesso bivio rappresentato all’epoca, in Italia, da Pavese e Calvino. Continua a leggere