Più neri di fuliggine gli occhi,
più piccoli di luce gli zigomi
lo sconosciuto che divide con me il passo
non è più chi un tempo diceva “Vai piano, non ti seguo”.
Ruba la mia ombra, non mi mostra la via.
Non di più vorrei, ma sempre,
in ogni buio essere la polvere che danza lenta l’aria,
non coprirti mai;
una sete sul fondo del bicchiere,
l’angolo bruciato di una mappa.
Non darmi geografie,
più di tutto vorrei sconosciuto il mondo.
*
Nella ruggine dell’alba guardavo in gola il mattino
vedevo camere esposte al sole
di qualche anno prima.
Il giorno era vissuto in corsa, un’attesa
delusa che non paventa il tempo.
Della tenerezza degli sciocchi era fatta la sera.
Ora, non forzando la memoria, non così
nemmeno al buio questa notte siamo uguali.
*
Stanza in Milano
Ti ho scritto una lettera mentale,
che a scriverle le parole diventano vere.
Le solite formalità, alcune novità
ma poi domande sulla partenza
per quel che si sa o che s’ignora,
sul verso giusto, se del passato coi suoi divieti
o del futuro con le sue rotonde.
E ancora ragioni, vantaggi della libertà,
cambiare città, via. Questo – è normale.
Se invece chiedi a un bambino, normale è quando si è felici.
E allora di nuovo schiavi, ancora e sempre
dei posti amati, dei polsi implorati
ché l’amore è mendicante
ché l’amore è penitente
e subito dopo un’intera vita al riparo
con unico desidero – lo schianto. Continua a leggere