MEMÈ SCIANCA E BOBI
di
Fabrizio Fantoni
A poco più di un mese dalla morte di Roberto Calasso vale la pena di leggere le sue ultime opere letterarie: Memè Scianca e Bobi.
Si tratta di due piccoli libri – usciti subito dopo la morte dello scrittore avvenuta il 28 luglio scorso – che ci restituiscono il resoconto di due straordinarie esperienze esistenziali – quella di Roberto Calasso e del suo amico e mentore Bobi Bazlen – intrecciate in un indissolubile sodalizio culturale ed affettivo.
In una notte di fine primavera, non lontano dal lago di Garda, un padre legge ai figli i ricordi di infanzia di Pavel Florenskij, intitolati Ai miei figli. Il racconto di eventi così risalenti nel tempo induce i giovani ascoltatori a domandare cosa il padre ricordasse dei suoi primi anni d’infanzia trascorsi presso la vecchia villa di San Domenico vicino a Firenze.
È questa l’occasione da cui ha inizio, in Memè Scianca, quel lento sprofondare nella memoria per rintracciare eventi appartenenti ad un’epoca fumosa ed incerta che l’autore rievoca affidandosi al flusso disordinato e lacunoso dei ricordi. Non, quindi, un’autobiografia dalla progressione lineare quanto, piuttosto, una pseudo-autobiografia in cui l’autore si fa scriba di se stesso.
Con pochi particolari Roberto Calasso fa rivivere, nelle sue pagine, la Firenze degli anni quaranta. Una città segnata dalla guerra – che ne accentua il carattere di città a parte, separata da tutto anche dal resto dell’Italia – abitata da una folta schiera di intellettuali che guardavano ad essa come la culla della cultura umanistica europea. Era la Firenze di Bernard Berenson e di Roberto Longhi, di Giorgio La Pira e di Ranuccio Bianchi Bandinelli: era la Firenze in cui fioriva la civiltà delle ville.
In questo denso ambiente culturale il giovane Calasso getta, per la prima volta, uno sguardo consapevole su se stesso.
La scoperta della poesia con Baudelaire e della letteratura con Cime Tempestose della Bronte, libro che apriva la via verso una regione ignota e fascinosa, di cui nessuno parlava e si poteva scoprire soprattutto al cinema. Ma scoprirla in un libro era qualcosa di diverso. Andava più a fondo.
La scoperta della musica al Teatro Comunale.
La scoperta dell’eros frugando le languide illustrazioni di Gustave Dorè dell’Orlando Furioso.
La scoperta dell’editoria con il nonno Ernesto Codignola fondatore della Nuova Italia, casa editrice che con la collana il Pensiero Storico si poneva come strumento imprescindibile per la conoscenza del mondo antico.
E infine la scoperta del ruolo dell’ intellettuale nella formazione di una coscienza civile attraverso il ricordo dell’arresto del padre Francesco – insigne giurista e membro del Comitato di Liberazione Nazionale – a seguito dell’uccisione di Giovanni Gentile.
Memé Scianca è un’opera di testimonianza e di ricognizione umana teso a ricomporre le esperienze della vita riportandole, tutte, a pochi essenziali eventi.
Man mano che si procede negli anni e riflettiamo, in modo sempre più assiduo, sul nostro trascorso raggiungiamo la piena consapevolezza di come tutta la nostra vita sia stata determinata da un numero esiguo di accadimenti che hanno marcato, in modo indelebile, la nostra esistenza: senza di essi noi non saremmo stati noi stessi.
Quella conversazione avuta con il proprio padre un dato giorno dell’infanzia, quel libro letto per caso in una notte dell’adolescenza, quell’amore della prima giovinezza che ci ha deluso….Se anche uno soltanto di questi eventi non si fosse verificato, le nostre scelte, le strade dai noi percorse sarebbero state diverse.
Se Calasso non avesse letto un dato giorno delle sua infanzia L’homme et la mer – uno dei componimenti più belli de Les Fleurs du mal – avrebbe poi scritto La folie Baudelaire? E se non avesse incontrato da bambino Grete Bloch – la donna amata da Kafka e da cui ebbe un figlio – avrebbe da adulto scritto il magnifico saggio K?… Forse no. Difficile dare risposte univoche.
Di certo Roberto Calasso ha voluto, con un gruzzolo di ricordi, delineare una trama precisa di eventi fra loro concatenati che tracciano un percorso, un profilo culturale che prelude ai rilevanti risultati raggiunti successivamente dall’autore.
Memè Scianca si fa chiamare l’autore. Questo bizzarro soprannome che sembra alludere ad un’infermità, deriva dalla parola sanscrita shankha che indica la conchiglia cerimoniale usata per le libagioni d’acqua o, bucata, come tromba o corno in battaglia.
È bello pensare che il suono di questa conchiglia abbia guidato tutta la vita l’autore nelle sue peregrinazioni. Del resto, come scrisse lo stesso Calasso nel libro intitolato Ka: nella mente si compie ciò che nella mente aveva avuto inizio e che forse innanzitutto nella mente era avvenuto.
I ricordi dell’infanzia trascorsa a Firenze lentamente si dileguano, si consegnano definitivamente al silenzio, e lasciano il posto – nel libro Bobi – alla memoria degli anni romani.
È a Roma, in una stanza in affitto di via Margutta 7 che Calasso, accompagnato da Elemire Zolla, incontra per la prima volta Bobi Bazlen. Continua a leggere