Ricordo Franco Loi

Franco Loi, credits ph. Luigia Sorrentino. Milano, 7 marzo 2005 

di Luigia Sorrentino

Ero partita da Roma in aereo il pomeriggio del 6 marzo 2005. Il direttore di Rai News 24 mi aveva inviata a  Milano per un’intervista televisiva alla poetessa Alda Merini, molto popolare in quegli anni in Italia. Avevo detto al mio direttore che mi faceva piacere incontrare la Merini, ma che, trovandomi a Milano, doveva concedermi la possibilità di intervistare anche il grande poeta di lingua dialettale, Franco Loi, quasi per nulla noto al pubblico televisivo. Lui accettò, di buon grado. Si fidava di me. Aggiunsi che la Merini era persona molto “umorale” e non potevamo fare affidamento solo su di lei… lo avvertii che avrebbe potuto far “saltare” l’intervista all’ultimo minuto, nonostante gli accordi presi al telefono.

E andò esattamente come avevo previsto.

Mi ero organizzata così. La mia personale scaletta, prevedeva il 7 marzo 2005 prima l’intervista a Loi, poi quella alla Merini, anche perché sapevo che Alda aveva l’abitudine di svegliarsi tardi.

Avevo concordato, quindi, per le 10:00 l’incontro con Franco Loi, dopo, alle 14:00, avrei raggiunto la Merini nella sua casa sui navigli.

Alle 10:00 in punto arrivai con la troupe a casa di Franco Loi, in Via Misurata, 60.

Fummo accolti molto calorosamente da Franco e dalla moglie, Silvana, una donna intelligentissima, colta, affabile e curiosa, studiosa d’arte e di Letteratura. La casa era calda e si stabilì subito un contatto umano fra tutti noi.

Rimasi colpita dal fatto che Franco ci avesse ricevuto con la giacca da camera, indumento che Franco volle tenere anche durante l’intervista televisiva. Solo dopo, riflettendoci, mi resi conto che quella giacca indossata con tanta disinvoltura era il segno di una grande disponibilità. Era come una porta che si apriva e conduceva a una dimensione “privata”, di grande intensità.

Il nostro primo colloquio durò complessivamente quattro ore. Prima di congedarci Franco ci mostrò la casa, i libri, i quaderni. Tutto era perfettamente ordinato e pulito.

Quel primo incontro suggellò la nostra amicizia.

Alle 14:00 eravamo davanti alla porta d’ingresso della casa di Alda Merini, in Via Ripa Ticinese, 47.

Ebbi una leggera esitazione prima di suonare il campanello, ma poi decisa lo feci.  Quale sarebbe stata la sua reazione? Mi chiedevo. Saremmo stati bene accolti, oppure no? La Merini aprì la porta. Mi presentai.  Alle sue spalle riuscii a intravedere il “muro degli angeli”,  ma lei mi richiuse subito la porta sulla faccia.

Cercai di convincerla a riaprirla e a farci entrare ma lei non lo volle nella maniera più assoluta. Disse che le era venuta la febbre.

Vero o non no, dopo aver insistito ancora un po’ senza ottenere più alcuna risposta, ce ne andammo scendendo velocemente giù per le scale.

Probabilmente non le ero piaciuta. Non ci fu mai più una seconda occasione d’incontro.

Sulla strada i ragazzi della troupe mi proposero con un sorriso: “Andiamo dalla Nanda”. Io chiesi ridendo: “Chi è la Nanda?” “La Nanda! Fernanda Pivano!”

Fui entusiasta della proposta, ma come avrebbe potuto riceverci senza appuntamento?
Comprai in libreria alcuni dei suoi libri che non avevo con me.

Luigia Sorrentino e Fernanda Pivano, Milano 7 marzo 2005

Arrivammo sotto casa della Pivano. Fui io a citofonare e a presentarmi. Lei fu molto gentile, ma disse che dovevamo aspettare perché doveva consultarsi con il  suo avvocato. Ci chiese, quindi, di ritornare alle 16:00. Ritornammo e lei disse al citofono che potevamo salire. Fu una bella esperienza. Fummo accolti dal grande sorriso di Nanda saggista, traduttrice, scrittrice e giornalista di grandissimo talento. E’ lei che ci ha fatto conoscere molti artisti e scrittori della letteratura e della cultura americana: grandi scrittori classici, come Ernest Hemingway, William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Saul Bellow, fino ai poeti della Beat Generation fra i quali Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Ferlinghetti, e molti altri. Ma soprattutto la Nanda ci parlò del suo mentore, Cesare Pavese del quale era stata allieva (nel 1935 prima dell’arresto e del confino) quando Fernanda frequentò a Torino il liceo D’Azeglio.

Quando tornai a Roma e comunicai al mio direttore che avevo realizzato l’intervista a Loi e a Fernanda Pivano, e non quella alla Merini per la quale ero stata inviata a Milano, come era solito fare, prima mi diede una pacca sulla spalla e poi disse con la sua voce tonda: “Brava! Sei riuscita a intervistare gratuitamente la grande Fernanda Pivano!”

Post-scriptum

L’intervista a Franco Loi e a Fernanda Pivano aprì la strada a tutta una serie di interviste televisive che realizzati per la Rai e Rai Educational con molti altri poeti e scrittori internazionali negli anni a seguire per Rai News 24. Tutto questo materiale non si trova negli archivi di Rai Play perché in quegli anni Rai News 24 non aveva un archivio. Rai News 24 è stata la prima emittente pubblica italiana a trasmettere in digitale questo significa che tutto il materiale “girato” per essere “montato” doveva essere trasferito da analogico a digitale. Per fare “spazio” sui server era necessario “cancellare il pregresso” e quindi anche quello che avevamo già trasmesso. Ecco perché l’archivio in analogico con tutto il girato e il montato delle interviste che ho realizzato in quegli anni, è stato donato a me dalla Rai dal direttore del personale nel 2012. Un materiale prezioso, che andrebbe “acquisito”, e messo in rete attraverso i moderni canali di diffusione per ricostruire un periodo della storia della Letteratura e della poesia nel nostro Paese.

4 gennaio 2021

 

Franco Loi e Luigia Sorrentino, Milano, 7 marzo 2005

INTERVISTA A FRANCO LOI
Milano, 7 marzo 2005

Per prima cosa, Franco e io parlammo di Giovanna Sicari. Stavo preparando un servizio per la Rai su di lei e raccoglievo le testimonianze di poeti che l’avevano conosciuta e amata, e Franco era uno di questi. Mi lesse una sua poesia inedita dedicata a Giovanna, sua grande amica scomparsa prematuramente il 21 dicembre 2003. Continua a leggere

Alessandro Agostinelli, “L’ospite perfetta”

Alessandro Agostinelli

RECENSIONE DI MATTEO BIANCHI

Divertirsi sopra un testo, permettersi di non riflettere su ogni sua singola parola, è la sfida lanciata dall’ultima fatica in versi di Alessandro Agostinelli, L’ospite perfetta. Sonetti italiani, una raccolta finemente parodica, edita dalla Samuele Editore.

Si tratta di una fatica alternativa e anticonformista, che non intende mettere alla berlina lo stile dei poeti chiamati in causa piegandolo a una realtà bassa e degradata, bensì ottenere l’effetto opposto in chi legge; ossia esaltare le nostre radici liriche riesumandole e impugnandole per restituire dignità letteraria a un periodo storico controverso. Se non addirittura assurdo e sconfortante come i mesi di confinamento ai quali ci ha costretto la pandemia, senza trascurare il congelamento dell’empatia e di qualsivoglia sentimento di immedesimazione gli uni riguardo gli altri.

Non a caso, l’autore sceglie di emulare un genere che per definizione scaturì fuori dalle corti, in disaccordo con i luoghi comuni del potere, negando la visione e la versione “ufficiale” del mondo nonché rivalendosi del suo significato ideologico per dare voce a dissensi e dissapori.

Similmente si rivolse a Cecco Angiolieri, alla sua tempra sfrontata e demistificante, anche Fabrizio De André, ma non tralasciando mai la concezione culturale dentro la quale il poeta duecentesco si esprimeva. Prendendo il largo dal celebre sonetto S’i’ fosse foco…, Agostinelli passa in rassegna Cavalcanti, Petrarca, Ariosto, Alfieri, Foscolo, Leopardi e Gozzano.

Il suo atteggiamento è sentimentale per la tradizione e annuncia un presente in cancrena, un corpo sociale in disfacimento: «Vaghe mascherine io vo’ cercando / Che tornar a buon uso esse sanno / Come quel che ‘ndossava babbo mio / Non sul giardino ma ‘n acciaieria, / Dove le stelle son gli scintillii / Della colata a caldo all’altoforno», entrando ne Le Ricordanze.

Infatti, grazie al distacco critico che lo allontana secoli e secoli dalle penne amate, l’autore tende a riprodurre i medesimi toni emotivi che hanno reso indimenticabili quei versi, dimostrando così la difficoltà di elaborare con sguardo attuale la poetica degli spiritelli di Cavalcanti. Continua a leggere

Stefano Dal Bianco, “Ritorno a Planaval”

Stefano Dal Bianco

In questo libro, scritto in un ampio arco di tempo, dal 1993 al 2001,  ripubblicato nella Collana Gialla di Pordenonelegge  (LietoColle, 2018) Stefano Del Bianco riflette tra le cose e i luoghi della sua realtà quotidiana. “Ritorno a Planaval” è in un certo senso il diario lirico, la registrazione dei movimenti anche minimi di uomo – il poeta stesso – che si osserva esistere.

Uno dei libri di poesia più amati degli ultimi vent’anni viene qui riproposto con una ricca postfazione di Raffaella Scarpa, un intervento di poetica dell’autore e un saggio di Fernando Marchiori.

IL VETRINO

Una sera, ero in ritardo, con un asciugamano inavvertitamente, ho urtato una preziosa bottiglietta di profumo, che è caduta. I pezzi sono stati raccolti, quasi tutti in un primo momento, altri nel corso del tempo, a mano a mano diminuendo le proporzioni dei reperti. Dopo un mese in un anfratto del pavimento è comparso un vetrino trasparente, ma nessuno l’ha raccolto.

È passato altro tempo, ogni volta che entravo nel bagno
lo vedevo e mi ripromettevo: «Prima di uscire
lo raccolgo e lo butto»,
e nelle mie faccende lo tenevo d’occhio
perché non se ne andasse o scomparisse
tra le frange del tappeto o altro.

Ma il bagno libera i pensieri e al momento
di uscire dalla stanza un’altra
memoria ne prendeva il posto,
e il vetrino è rimasto e negli ultimi giorni
è diventato un’ossessione, un’ossessione
all’ultimo secondo regolarmente rimossa.

E oggi mi sono impuntato,
mi sono concentrato più di ieri
e più dell’altro ieri e ce l’ho fatta:
è stata una vittoria graduale
di una memoria su altre memorie.

Ho allungato la mano e con sorpresa
il vetro non ha opposto resistenza:
è stato docile, si è fatto raccogliere
come se per tutto questo tempo
avesse atteso me, il mio intervento.

Adesso non so se per pietà, per un senso del dovere
per rispetto o per amore l’ho posato
sul nero della scrivania, davanti a me,
e scrivendo lo contemplo e raccolgo
la sua storia di cosa legata alla mia,
uno stesso appartamento ci contiene.

Sono orgoglioso di averlo salvato
e lui risponde alla luce e manda timidi bagliori.
Ma io ci vedo dentro il firmamento e questa notte
lo metto all’ aperto e me lo guardo
perché c’è la luna, perché ritorni,
nella chiara altezza di cobalto, il cielo. Continua a leggere

Emilio Rentocchini, “Lingua madre”

EMILIO RENTOCCHINI

di Guido Monti

Con LINGUA MADRE Ottave 1994-2014 libro pubblicatonel 2016 da Incontri editrice (pp. 290, euro 14) Emilio Rentocchini fa confluire in un unico volume, vent’anni di produzione poetica racchiusa in 256 ottave. Si è molto parlato e scritto di questo poeta puro ed anche puro dicitore, che ha ricevuto a suo tempo attestati di stima e sicuro affetto tra gli altri da uno dei grandi del secondo novecento Giovanni Giudici. E nella sentita prefazione che Gianni D’Elia scrisse sul libro Ottave edito da Garzanti nel 2001 si legge: “Uscito nei primi anni Novanta sulla rivista “Lengua”, Rentocchini colpiva immediatamente per la voce sicura, fin dal primo verso, dove la consumazione della lingua dei parlanti è la dichiarazione della verità dialettale, ma non solo di quella…” e D’Elia ha pienamente ragione perché se indubitabilmente le ottave sono scritte nella forma del dialetto sassolese, esse proprio per profondità di sentire ed apoditticità di dettato, ci restituiscono quel brivido senza scampo, quella consapevolezza definitiva sull’esistere che deve possedere e trasmettere la poesia tout court, non importa se dialettale o in lingua. Torno un attimo indietro, perché poeta puro? perché penso e questo accade raramente ai poeti, perché i più in verità divengono tali, come si dice, sviluppando i propri talenti ed affinandoli anche in maniera encomiabile, che Emilio Rentocchini invece sia posseduto in nuce da un alto spirito artistico che poi è spirito dei tempi, dei secoli, che sembra d’un tratto convergere nei suoi testi quasi chiamandolo a scrivere nel metro dell’ottava ariostesca e chissà forse è azzardato dire che Ludovico Ariosto, contiguo anche territorialmente, parli in lui? o è lui a interrogarlo ed il poeta rinascimentale a rispondere ma comunque questo intreccio di lingue, di spazi, è lampante, nel fiume impetuoso del testo dove si potrebbe parlare di brusio, rumore dell’intertestualità, per citare Ezio Raimonidi ed i suoi memorabili studi sul Petrarca lettore di Dante. Continua a leggere

Nel tempo della nostra vita

cieli-celesti-light-1-671x1024Dal risvolto di copertina

Con Cieli celesti Claudio Damiani ha scritto un libro in cui il suo pensiero filosofico si apre all’orizzonte della scienza. La chiarezza espressiva e la forma contemplativa dei versi, però, sono le stesse dei libri precedenti, quelle apprese dalla lezione dei latini e di Petrarca. Così come il ritmo continua a essere dialogante: il suo rivolgersi agli uomini, agli animali, alla natura, all’intera creazione come fossero tutti parte di una “comunità” – che poi significa capire quanto ogni cosa è indispensabile all’altra e che proprio questo è il “miracolo” di cui facciamo quotidianamente esperienza. Continua a leggere

Nuccio Ordine, “L’utilità dell’inutile”

utilita_inutileNon è vero – neanche in tempo di crisi – che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono, nelle democrazie mercantili, saperi ritenuti “inutili” che invece si rivelano di una straordinaria utilità. In questo brillante e originale saggio, Nuccio Ordine attira la nostra attenzione sull’utilità dell’inutile e sull’inutilità dell’utile. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi (Platone, Aristotele, Zhuang-zi, Pico della Mirandola, Montaigne, Bruno, Campanella, Bacone, Kant, Tocqueville, Newman, Poincaré, Heidegger, Bataille) e di grandi scrittori (Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Alberti, Ariosto, Moro, Shakespeare, Cervantes, Milton, Lessing, Leopardi, Hugo, Gautier, Dickens, Herzen, Baudelaire, Stevenson, Kakuzo Okakura, García Lorca, García Márquez, Ionesco, Calvino, Foster Wallace), Nuccio Ordine mostra come l’ossessione del possesso e il culto dell’utilità finiscano per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignitas hominis, l’amore e la verità. Continua a leggere

Giorgio Orelli, “Tutte le poesie”

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Giorgio Orelli, “Tutte le poesie” , Oscar Mondadori, Milano, Mondadori, 2015

A cura di Pietro De Marchi
Introduzione di Pier Vincenzo Mengaldo
Bibliografia di Pietro Montorfani Continua a leggere

Dino Campana, l’eterna chimera

Luigia Sorrentino legge “Il viaggio e il ritorno“, di Dino Campana.

La potente figura femminile che incontriamo ne “La Chimera” non è altro che un preludio all’incontro che Dino Campana farà con le bianche prostitute in fila sul lungomare di Genova nel 1912 . “La data è certa” , scrive Sebastiano Vassalli ne “La notte della cometa” (Einaudi, 1984). Sappiamo – aggiunge – da un appunto autografo, che il poeta abitò a Genova per alcuni giorni o, addirittura, alcune settimane, in Vico Vegetti, 27, interno 2. E “l’eterna Chimera” per Campana è l’amore, un’assassina invisibile che gli invade il corpo e il cuore, l’antica amica, è come un sogno uscito dalle ombre della oscura notte, brulicante di stelle. Continua a leggere

Mario Santagostini, "Felicità senza soggetto"

 
felicita-senza-soggetto_originalE’ in libreria l’ultimo libro di poesie di Mario Santagostini, “Felicità senza soggetto“, pubblicato da Mondadori nel 2014 nella collana dello Specchio, I Poeti del nostro Tempo. 
Dal risvolto di copertina
Vivendo il presente come coinvolto in una sorta di sinistra mutazione antropologica, il poeta fa i conti con il passato: con quello vissuto in prima persona e con l’ampio territorio d’un Novecento quanto mai remoto, dal quale affiorano le residuali tracce mnestiche di una realtà perduta, immersa nell’ideologia, nell’utopia di certezze ormai irreversibilmente dissolte. Mario Santagostini ripercorre, liberamente e per frammenti, il tempo della sua formazione, rispetto alla quale continua insistente ad agire la misteriosa forza della materia che lo attrae, il suo amore inquieto per la vita e per gli stessi forse squallidi dettagli di una periferia urbana, milanese, rappresentata come in un sogno di Sironi. Una periferia rivissuta, metaforicamente, sempre «oltre il capolinea», tra odori d’acqua oleosa di benzina, o girovagando tra fossi, cortili, sottopassi. Continua a leggere

Gandolfo Cascio, su "Olimpia"

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Il compito del poeta è quello di darci la mano
di Gandolfo Cascio
Ολυμπία è la città che organzizzava e dove si svolgevano i giochi olimpici. Olimpia era, però, anche sede di templi e teatri, fatto che testimonia che fu anche luogo di culto e di una certa importanza culturale. Il locus è, cioè, allo stesso tempo un luogo chiuso, conclusus, ma anche aperto ad accogliere chi arriva da fuori – purché con uno scopo bene preciso –. Certo che Luigia Sorrentino è consapevole di questa realtà e pare che vi si sia avvicinata con determinazione e senza insolenza. Già da una prima lettura si nota come l’approccio sia cauto e rappresentato in forma di ‘progresso’, dell’avanzamento verso, e attraverso, degli spazi reali: ‘L’antro’; ‘L’atrio’; ‘Il giardino’; ‘Il lago’. Questi luoghi si attraversano in modo, diciamo, orizzontale, per poi superarne i confini per poi scendere (‘La discendenza’). Continua a leggere

Il problema Tozzi: il gigantismo del non essere nulla

Riletture
a cura di Luigia Sorrentino

“Con gli occhi chiusi” di Federigo Tozzi pubblicato in prima edizione nel 1919.

Recensione di Giorgio Galli

Con gli occhi chiusi è il romanzo emblematico di Federigo Tozzi. Eppure è il più irrisolto; ma proprio per questo è emblematico. Inizia con le movenze d’un vasto romanzo ottocentesco, d’un romanzo verghiano o nieviano; e ci si aspetta uno sviluppo conseguente. Ma questo sviluppo non viene: è come una serie di preludi a cui non segue l’opera. Eppure l’opera c’è, così viva da entusiasmare persino Pirandello. E’ noto ciò che ne scrisse il Girgentano: “Quando s’è finito di leggere, e, meglio, parecchi giorni dopo la lettura… uomini e cose, vicende e paesaggi, tutto insomma,acquista davanti a noi una tal consistenza di realtà che veramente ci stupisce, perché non riusciamo più a renderci conto, come davanti alla vita stessa, quali di quei tanti particolari che parean Continua a leggere

Premio Letterario Viareggio-Repaci, le terne dei finalisti

Sono state selezionate dalla giuria le terne dei finalisti del Premio Letterario Viareggio-Repaci. Per la narrativa sono Antonia Arslan, “Il libro di Mush” (Skira), Nicola Gardini, “Le parole perdute di Amelia Lynd” (Feltrinelli) e Giovanni Greco, “Malacrianza” (Nutrimenti).

I tre finalisti per la poesia: Sauro Albisani, “La valle delle visioni” (Passigli), Antonella Anedda, “Salva con nome” (Mondadori); Nino De Vita, “mini” (Mesogea editrice). Continua a leggere

Claudio Damiani, video-intervista

Claudio Damiani (nella foto di Dino Ignani), è insegnante e poeta. E’ nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo ma vive a Roma dall’infanzia. Luigia Sorrentino lo ha incontrato in occasione del Festival Internazionale di Roma “Letterature”, nell’unica serata dedicata ai poeti, il 22 maggio 2012. Damiani, in questa intervista rilasciata a Luigia Sorrentino, interrogato su Orfeo – il poeta per eccellenza – dice di essere anche lui molto vicino a quel ragazzo che ha perduto la sua Euredice e che finisce la sua vita dilaniato, “fatto a pezzi” dalle baccanti, e magiato da tutti. Un mito sempre molto attuale – dice Damiani che dimostra che la poesia appartiene a chiunque. E, a tal proposito, cita Alda Merini: “la poesia è un corpo universale”. I poeti più vicini a Claudio Damiani? Gli Antichi Maestri: Petrarca, Pascoli, i poeti latini, dell’età d’oro, e i poeti della tradizione orientale. “Vicini più di quelli contemporanei aggiunge Damiani, perché “la poesia tocca corde profonde. Può anche parlare di attualità, ma deve il poeta deve rendere l’attualità emblematica.”

Video intervista e montaggio di Luigia Sorrentino

[flv]http://www.rainews24.rai.it/ran24/clips/2012/06/claudio-daminani.mp4[/flv]

Alberto Casadei, “Sulla poesia europea”

LA POESIA EUROPEA, TRA BIOLOGIA E CULTURA
di Alberto Casadei

La domanda più ricorrente riguardo alla letteratura europea è se esista e, se sì, su quali basi. La questione, da un punto di vista strettamente letterario, è indubbia. Come hanno ricordato tanti studiosi sulla scorta del modello della goethiana Weltliteratur, e da ultimo, con esempi concreti, George Steiner nel suo discorso Una certa idea di Europa (Garzanti), le radici di tutte le letterature occidentali moderne risalgono al minimo comun denominatore della cultura greca, l’unica capace di sopravvivere a una catastrofe politica e militare, improntando di sé quella romana (come già affermò Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit”). Lo sviluppo ulteriore fu sancito dall’espansione nell’ambito della cultura alta del sermo humilis biblico-evangelico, con le straordinarie sintesi di Paolo, Agostino e poi di Tommaso, riprese e portate a un primo compimento epico-teologico dal Dante della Commedia. Continua a leggere

Accademia dei Lincei, lessico europeo dell’affettività

E’ nata la prima banca dati della lirica romanza e del linguaggio amoroso europeo. I primi risultati del
progetto di ricerca “Il lessico europeo dell’affettività” saranno presentati all’Accademia dei Lincei venerdì 13 maggio, alle ore 17 (Palazzo Corsini via della Lungara 10) a Roma. All’incontro all’Accademia dei Lincei parteciperanno i professori Roberto Antonelli, Mercedes Brea, Paolo Canettieri, Rocco Distilo, Lino Leonardi.

Il progetto, coordinato dal prof. Roberto Antonelli, vede impegnate le Universita’ della “Sapienza”, della Calabria, di Siena, di Santiago de Compostela e l’Istituto del Cnr – Opera del vocabolario dell’Accademia della Crusca. Continua a leggere

La traduzione di poesia, Nicola D’Ugo

Inauguriamo una nuova sezione del blog Poesia“La traduzione di poesia”. 

Iniziamo con Nicola D’Ugo poeta, narratore, saggista, comparatista e traduttore.  Dottore di ricerca in Letterature di lingua inglese alla Sapienza. È stato fondatore e redattore del quadrimestrale di studi culturali Praz! (1993-1997) e redattore del mensile Notizie in… Controluce (1999-2001). Ha scritto numerosi saggi e curato monografie per libri e diverse testate giornalistiche ed accademiche. Ha tradotto per Arnoldo Mondadori Editore, Edizioni Empirìa e Semar Editore. È autore, con Alberto Mesina, dell’unica traduzione integrale del poema Altazor o il viaggio in paracadute di Vicente Huidobro, pubblicato da Semar.

Nicola D’Ugo ci propone due poesie «Il mio cuore» e «Come lei» , di Frank O’Hara e Anne Sexton.

<<Le poesie qui proposte, «Il mio cuore» e «Come lei»sono state scritte da due dei poeti che hanno esercitato una grande influenza sulla poesia americana, Frank O’Hara e Anne Sexton. Entrambi si caratterizzano per l’intimità cui invitano il lettore, e benché quest’approccio sia ritenuto tipico della poesia lirica, esso non lo è affatto. Nei brani che ho desiderato tradurre non è a tema l’universalità dell’uomo, né essi toccano questioni che cerchino di raffigurare l’uomo contemporaneo nella sua interezza. Se in essi ci si riflette, specchiandosi, ci si ritrova nei panni singolarissimi (e non per questo unici) degli autori che li hanno scritti. Un tale approccio lirico non ha neppure di mira farsi testimone di un’epoca, vissuta attraverso gli occhi del poeta. Nella loro diversità, O’Hara e Sexton si rivolgono al lettore parlando di se stessi, di ciò che sentono, nel minuto fugace e talvolta onnicomprensivo della loro carnalità esistenziale.

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