Edoardo Callegari, da “Liturgie di un Magnifico”

Edoardo Callegari, foto di proprietà dell’autore

AL CARRO DE LA LUCE

La nudità che appare è una rivelazione; sia così …

Non la parte scoperta di ciò che nell’apparizione non appare, sigillo non apparentis apparitio, ma il vetro dell’aria sospesa divenuto un elemento, qualcosa di lavato con l’apparenza dell’aria.

VERSO GLI OLIVI, A UN COSI’ CALMO ALTROVE

Laniakea

A mio padre

 

In Omero
le parole per descrivere l’uomo
sono le stesse usate per definire
la luce. E in questo c’è una luce
fermata dall’emulsione di tutto
lo spazio presente e che verrà.
Ed è nella contemplazione estiva,
senza i preparativi necessari
del clima, prima del contemplabile
autunnale più presto pacificato.
Penso al tuo autunno che cade all’unisono
ritraendosi alla luce
per contemplare se stesso
mentre un vacuum ha inizio
dove l’anima cristallina
suddivide la luce nelle idee
di miseria che occupano l’anima,
e un Giordano vivente entra per nutrire
la speranza dove tutto è invito,
qualsiasi fosse la direzione
del ritorno presa dai risanati;
dove un albero della vita cresce
grande quanto un Paradiso Incommensurabile,
tutto divenuto reale nel punto
in cui è mantenuta una promessa;
in un tempo dove l’origine
del tempo sta nelle configurazioni
della incompletezza di una descrizione.

E chiedere più di questo:
che l’aria in serbo per la mattina
non disincarni la sua stessa summa
di cristallo. I nostri giorni avranno
nascite come un addio fedele
è addio alla bianchezza dalla dominanza
del bianco, antecedenti l’una all’altra,
e una tale reticenza
éclaire d’insignifiance
sarà la sola presenza del nostro
mero essere donato
e una risposta, satura di donazione.

 

 

Nel senso del solco

Nel senso del solco, ad altezza
del seme, incielata,
è nella parola fatta luce
di nessun excelsior che il predicato
verginale di luce all’aperto,
liberando un cielo, satura il mondo
di una donazione, una casa aperta.
E tu dormi nella mia notte, nata
dal tuo mare sussurrando a occidente,
come un arcipelago
per me di vita nuova.
Tu scolpita di stella
forte, avrai dove posare il capo?

 

La luce è il luogo in cui l’acqua

La luce
è il luogo in cui l’acqua, nel respiro fresco
delle pietre, può immergere se stessa
solo apparendo.
                      Lucem
demonstrat umbra. Sia così.
Ma anche l’ombra è mattutina.

E questo ancora può coglierci
sotto un cielo: tenendo il calice
che sta per riempirsi, qualcuno
portando il vischio alla tavola
apparecchiata, farne affluente.
E olio di nozze, che unisce il libro
al cuore d’olivo della casa.

Leggerezza di carità
nel corpo-di-parola
di questa terra, come da un costato.

Acqua benedetta alle mani
e al costato, la giornata intera
a rischiarare l’angelo mentre
ci fa vivere l’abitata,
non la casa. E costellare il libro.

VITANOVAMALASPINA

The Prodigal Pilgrim’s Progress

“Allora rientrò in se stesso e disse:
quanti salariati in casa di mio padre
hanno pane in abbondanza (…)”
(Lc, 15,17)

Ora lascia, Titiro,
che quanto era protetto dal canto
e dava protezione nell’eccellenza
di quiete, diventi un ovunque di esilio,
che compone se stesso come estuario
d’aria, come le scaturenti origini
dell’aria un miserere che colma
la luce ed effonde spogliazione
nella crescita lenta alla brezza
della luce sepolta nei roseti.
Chiedi perché di altri cònsoli saranno
Pascoli di fiori del citiso
e il salice amaro, i giovenchi
che adagiano il fianco candido
sui teneri giacinti,
sotto la freschezza ombreggiante
di un leccio, a ruminare le erbe
pallide, mentre per te è scritto
che hai fatto irrompere tra i fiori, l’Austro
e i cinghiali nelle acque
limpide … Tutto diventi alto mare,
anche nell’eccellenza di erbe morbide
più del sonno. Omnia vel medium fiat
mare, dunque, dove dire
che l’eccellenza dell’onda si rifrange
a riva, significa interromperne
il vero corso. E ora continua,
come se il nome del figlio
della parabola fosse
quello di un efebo in Virgilio
ed il perdono del padre non risuonasse
tanto avanti alle sue parole:

– Devi aver avuto in serbo a lungo
per un racconto estivo, custodita,
una parola che impegnasse, esprimendole,
alla speranza e umiltà, che ora dovremo
riporre da soli e dissigillare;
ora, tornare al centro del proprio clima
senza la parola di festa,
sarà un intorbidire la luce.
Ma in questa nuova solitudine,
il nostro agire più ampio
potrà forse essere la raccolta
nel calice della mente-qoèlet
del desiderio di un infermo,
ad essere quella poca deviazione,
quel clinamen di miseria
che è fermento povero d’un distillato
di compassione, perché un buon nome
è preferibile all’unguento profumato.

– Getta il tuo pane sulle acque,
perché con il tempo lo ritroverai.
Quando servirà che la speranza
e l’umiltà ti dicano
se tu sia stato fedele anche solo
per il puro tentativo
di comprendere ciò di cui sei erede
e che una quieta serenità
a cui ripensi, possa ancora appartenere
ai confini – come ogni figlio appartiene
alla pura grazia dopo la remissione
di una marea di fertilità –
i tuoi predicati della fedeltà,
nitore di qualcosa a te interiore
più che te stesso, saranno
come una dimostrazione della grazia:
come una forza femminile irradiata,
materna o di sorelle, è una sorrisa
parola di luce inaccessibile
verso cui scendere in acqua grave
e colma; chiama tutto ciò, ora sappiamo
entrambi, un’attesa necessaria
come l’in fieri di libertà
spirituale a questa tua stessa età,
a questa pienezza. Non ci sono
più parole se nessuna assenza
fonda l’attesa che esse articolano,
avendo l’apparenza della pietà,
ma rinnegando ciò che ne fa la forza:
espìa per esse una delectio
dal libro della vita. Chiameremo
tutto questo vera fedeltà.
Chiedere di espiare
da quanto è scritto affinché
un padre non abbia il torto di un giudizio
sul popolo e sulla casa.
Chiameremo tutto questo
vera fedeltà. Con la più femminile
delle mani paterne
prendere alla forza dell’angelo
il calice di parole tuffate
dentro al frantoio nel cui fondo
la parola della spremitura
è anche la parola della vera
luminosità dell’olio
e il suo cercare un senso tra occhi afflitti
e solcati, il suo ricordarsi
della vita sparsa che Dio, chinandosi
su di noi, cerca e ricorda,
è già la relazione stessa del senso
e questo canto estivo,
così che le tue api posino
oltre i tassi: “Bruciante non entrare
nella notte per detergere
la materia notturna
con un battesimo di desiderio
che scriva bianco su bianco la fedeltà”.
Una distanza di gru, aironi
cinerini, egrette, nel fulgore
di un ricordo dalla terra prenatale.
Chi riceve? Chi dona? Continua a leggere

Sacralità e poesia

 
fedi-gini[1]Al Piccolo Museo della Poesia di Piacenza (via Pace 5) sabato 27 settembre 2014 alle ore 17,00, si inaugura la mostra di Fernanda Fedi e Gino Gini, Un cammino tra sacralità e poesia, opere e libri d’artista a cura di Amedeo Anelli.
Artisti di fama internazionale, Gino Gini e Fernanda Fedi dagli anni Settanta del Novecento hanno dato origine ad una serie di esperienze sul sociale e sulla verbo-visualità, che li hanno portati, fra l’altro, negli anni Ottanta alla fondazione dell’Archivio Internazionale del Libro d’Artista di Milano. La mostra ripercorre alcune fasi recenti di questo itinerario. Continua a leggere