di Eleonora Rimolo
Lo sguardo di Pusterla è audace e si posa su oggetti e persone di una realtà multiforme alla quale bisogna sfuggire ma che allo stesso tempo bisogna vivere: al “doganiere” il poeta “dichiara” tutto quanto è necessario (“una scatola d’ovomaltina, frutta secca, piselli sottovuoto; […] due bottiglie di vino”), ma non svela la sua verità, il suo estremo segreto, che in fondo è proprio il gesto insano e immacolato di far poesia. Un gesto che tenta di tradurre sensazioni evanescenti ma determinanti: i “treni in partenza, ancora” hanno un effetto devastante nella memoria di Pusterla, che oppone quel gelido ricordo al nascere della primavera, “bellissima” certo, ma “che non sa nulla di nulla” e che quindi ostinatamente fiorisce nonostante l’animo languisca ancora nell’invernale “pozzanghera”. L’incanto del quotidiano tuttavia si ripete, e rimane da chiedersi per che cosa valga la pena andare avanti: “lo sguardo […], un occhio vigile, un amore” è la risposta che ci fornisce il poeta e attraverso la quale egli cerca di ordinare il susseguirsi indomabile dei giorni al fine di raggiungere la luminosa serenità di una “breve gioia”, in cui stanno “il disarmato, il fragile, l’effimero: non altro”.