Il carme che qui ci presenta Gianluca Fùrnari “Ad Patrem” è scritto secondo la tradizione elegiaca: si alternano esametri e pentametri seguendo una tradizione inaugurata in Grecia nel VII secolo a. C., una tradizione che raggiunge la vetta nel I secolo d.C. con poeti come Catullo, Tibullo, Properzio e Ovidio. In particolare, il rappresentante al quale Gianluca si ispira per scrivere il suo carme, è Mimnermo di Colofone, un poeta elegiaco greco antico vissuto, molto probabilmente, tra il VII e il VI sec. a. C. ed è impostato come dialogo con il padre morto. La lingua che sceglie Fùrnari è però il latino da lui stesso definito “una lingua metastorica che, fino al secolo scorso, si è rivolta a tutte le generazioni con un linguaggio che non ha mai perso la sua lucidità”.
Me ne sono andato quando ho scoperto / che soffrivi di atropia, si legge in esergo al testo, e qui la parola atropia assume il significato della malattia della morte, della tenebra, in una caratterizzazione genetica, programmata. Poi nella sua nota Gianluca ci riferisce di un sogno, come a voler spiegare, a chi legge, che scrivendo in latino egli abbia cercato di entrare nella “metastoria”, mettendo in comunicazione la sua generazione con quelle che lo hanno preceduto attraverso un codice, una lingua, appunto, atropica: una lingua che da un lato recide la vita e dall’altro ce la restituisce in un’elegia, un carme, trasportato dalle ali di una farfalla notturna, come l’ Acherontia atropos che ha sul dorso il disegno di un teschio, ed emette, ogni tanto, uno stridìo, un verso, simile a un lamento.
(di Luigia Sorrentino)
Nota di Gianluca Furnari
Nei sogni dolorosi mi scoprivo spesso afono: non solo ero circondato da sagome monodimensionali, appena uscite dalle mani della mia coscienza, ma mi si toglieva persino il diritto di entrarvi in comunicazione. Sperimentavo una solitudine concentrica, e il tentativo di alzare la voce non faceva che esacerbarla. Continua a leggere