“Canto d’emergenza di pensieri /nato da un sentimento, /non molti, / spinoso,/ così inconfondibile,”: Celan detta la situazione e la condizione della poesia di fine Novecento: è canto, né può essere diversamente malgrado l’appropriarsi della scena della poesia descrittiva; non esalta e non si esalta, rincorre e afferra rimasugli di vita, il dolore spalancato e quello socchiuso, la futilità di ogni appiglio, la resistenza di ogni male.
Partire da Celan per riflettere sulle poesie di Maurizio Manzo può sembrare presuntuoso perché il primo è già consacrato fra i grandi, e il secondo appartiene ancora alla folta schiera che ha trovato nella poesia uno strumento per una comunicazione intrapersonale e sociale centripeta e salda. E’ la voce che definisce il poeta; la sua biografia è cosa di poco conto. In questa opera, perfettamente inclusa in una spirale di evocazioni e riflessioni, il battito e il ritmo non mutano: la stessa voce, la voce del poeta Manzo, si svela in una scrittura pulita, ben accordata su un tono rapsodico e melanconico, puntato su un obiettivo che a poco a poco svela. Continua a leggere
Sette terribili ostriche e una perla
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