L’essenziale raccoglimento della poesia

Don DeLillo

SILENZIO E PAROLA
Una riflessione a partire da Don DeLillo

di Alessandro Bellasio

«Il mondo è tutto, l’individuo niente. L’abbiamo capito tutti, questo?».
Così sentenzia e si conclude, condensando il proprio messaggio, l’ultimo lavoro di Don DeLillo, il racconto/pièce Il silenzio. Una conclusione deludente e oleografica, come il libro stesso, a dire il vero, complice flagrante di quell’umanismo spurio e tecnicizzato che domina ormai incontrastato l’«ordine del discorso» mondiale, e nel cui dominio rientra evidentemente anche la letteratura mondiale, la letteratura che fa mondo, quella che ne restituisce istanze e valori, qui nella persona di uno dei suoi più celebrati eroi.
Già, il mondo… quante sciocchezze, in nome del mondo. Non è in nome del mondo, della collettività – secondo l’equazione implicita operata da DeLillo stesso – non è in nome delle masse sterminate e sterminatrici, che si è giunti a quell’apocalisse al ralenti così ben immaginata e restituita proprio dal racconto medesimo? Non è in nome dei popoli e dei fantasmi universalistici su di essi lungamente proiettati, che si sono messe in moto sulla Terra le «magnifiche sorti e progressive», a cui dobbiamo quella catastrofe amministrata che era già da molto tempo divenuta la nostra vita quotidiana, solo diffratta dalle pie illusioni di crescite e prosperità ad libitum?
Di sicuro, nulla di tutto ciò e, anzi, nulla in generale fu mai fatto – e per fortuna, vorremmo aggiungere – in nome dell’individuo… Ma – come ogni persona integra dentro di sé ancora sa perfettamente, benché in maniera sempre più timida e nebulosa – in realtà è proprio solo l’individuo che conta, solo l’esistenza ad avere valore, senso, durata.
E però non l’individuo nell’accezione materialistica e gregaria dell’individualismo – naturale pendant di ogni collettivismo – accezione da cui DeLillo implicitamente muove, assumendola come posizione ideologica di fondo, tacita e indubitabile, e a cui riapproda poi nella sua lapidaria conclusione, una volta compiuto il giro intorno a sé stesso e alle proprie inveterate convinzioni, speculari a quelle dei lettori che blandisce.

E d’altro canto, se la preminenza dell’istanza collettiva su quella individuale è il messaggio che l’autore americano intende rilanciare, nel momento in cui pure volessimo accogliere tale esortazione e però, da buoni europei, cercassimo anche di rinvenire non solo le matrici emotive e occasionali, ma le profonde radici storiche di un’idea così “moderna”, non saremmo forse obbligati a riconoscere che le nostre sciagure sono cominciate proprio nel momento in cui, a partire dalla seconda metà del XIX secolo grossomodo, alla concomitanza fatale di socialismi e darwinismi, prede facili di un facile Zeitgeist trapassato piano piano in visione del mondo tout court, noi abbiamo preso l’abitudine nefasta di concepirci, zunächst und zumeist, come comunità zoologica –  ossia nel momento in cui l’uomo si è saputo legittimato, tanto sul piano della dialettica storica, quanto su quello della cultura scientifica, a pensarsi prima di tutto come specie, e a farlo su vasta scala, su scala mondiale, in ottica sia diacronica che sincronica? Non è lì, sulla soglia del collettivo umano inteso come tale in virtù di ragioni squisitamente socio-biologiche, che possiamo collocare la cesura epocale che ci porta dritto fino ai nostri giorni, e al sinistro (nonché contradditorio in termini, a rigore) umanismo biologista[1] verso il quale sembrano puntare i vettori attuali della produzione di senso e di segni, e dunque anche la letteratura? Continua a leggere

Alessandro Santese, “Un grande, osceno silenzio”

Alessandro Santese

AI PIEDI DEL TEMPO

ALESSANDRO SANTESE

Restano in silenzio, riguardandosi l’una nel riverbero degli occhi dell’altra, le due donne arrivate sul luogo. La pietra che trovano è vuota: il vuoto le stringe. Il corpo, amato, disamato, toccato e caduto, non c’è.

Il corpo che è nulla e abitava una voce, il corpo che è molle e robusto, non c’è.

Giunte sul luogo fresco del ricordo, per piangere ed ossequiare il momento del pianto, così il ricordo già evapora, prima che mano amica o nemica lo contamini, allora come sempre, disseppellendo se stesso nell’aria come la morte venuta fuori un giorno dal suo giardino, rigoglioso di margherite ed asfodeli: invisibile, inizierà a camminare allora tra le strade dei superstiti, scalza, forse, forse compunta, i quali parleranno bisbigliando di lei e del ricordo di lei mentre lei non è che già lì. Da sempre. Da prima di sempre. Dentro una luce accecante. Ne faranno, dell’episodio manchevole, coloro che restano, un monumento ben fatto. Nei secoli; lo chiederanno anche ai secoli.

Può accadere che accorrendo sul luogo del tragico per testimoniarne l’essenza, come gettandogli trenodicamente le braccia verso, si perda, forse, proprio il dono essenziale del tragico. Un grande, osceno silenzio è lì. Il quale non scema, ma cresce.

Eppure tutto, in quella quiete, palpita e vibra, a ben vedere, ancora più a fondo, come il vuoto dentro il quale brulica e vibra vita e natura salendo. Nulla, se così fosse, vi sarebbe da colmare con l’affanno improvviso del respiro, perché anche il nulla lì sarebbe l’eco di un respiro, forse, di troppo. E mentre un primo immediato movimento testimoniale, presentendola, vorrà oscuramente appropriarsi di quella ulteriore nascosta vita, avvicinandosi troppo con il fiato al suo collo – per soffocarne così la voce più profonda, sigillata sotto metri e metri di terra chiusa in bocca all’evento – ai secondi che arriveranno, invece, ritardatari perenni in ritardo sulla storia e sulla necessità di poter dire eccomi, a loro che riconosceranno vuoto e intoccabile davvero il dolore del luogo sacro, che a loro mai non appartiene, viceversa, sarà forse dato di restituire il vuoto del luogo e dell’evento, senza volerlo, a se stesso. Alla pace di se stesso. Al suo fuoco invisibile. Così intrecciandolo, davvero, ai fili del suo ordito incessante. Continua a leggere

La terra degli addii

Ciro Tremolaterra

QUANDO IL POSTO SI SVUOTA

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

“Amorevolezza” ( IOD edizioni, 2017) è la raccolta di poesie che mi ha portato in dono Ciro Tremolaterra, una persona distinta, dotata di rara gentilezza. Nel libro di poesie che portava con sé c’è tutta la sua vera natura umana, l’ amorevolezza, autentico tesoro. Versi dedicati prevalentemente alla madre scomparsa. La malattia della donna però è solo il pretesto per entrare in una dimensione esistenziale che illumina la sofferenza del mondo.  Lo sguardo è sul tramonto. Si sta seduti nella terra degli addii e il vedere è silenzioso. La partenza della persona amata è negli occhi amorevoli del figlio che guarda e registra ogni piccolo segno, senza fare domande, né alcun inventario, perché non sa che cosa sta cercando lì, non sa che cosa troverà in quel posto.

 

RALLENTA

Rallenta sempre quando sei di fronte
alla rabbia, alle voci che feriscono
o finiscono in questo vento lieve
(e guarda in alto se può farti bene).
Pensa alle cose semplici e spontanee
al sole amico, continuando piano
svanisca del maltempo la paura
che ti trascina. Non stancarti invano. Continua a leggere

La sera del dì festa

leopardi

Luigia Sorrentino, legge “La sera del dì di festa” di Giacomo Leopardi.
La musica è di Schubert.

LA SERA DEL Dì DI FESTA è un IDILLIO composto da GIACOMO LEOPARDI a Recanati probabilmente nel 1820, (vedi in: Tomo I  “Giacomo Leopardi OPERE”, a cura di Sergio Olmi, Riccardo Ricciardi Editore, 1956).

Fu pubblicato come secondo, dopo L’INFINITO, fra i sei IDILLI (L’INFINITO, LA SERA DEL GIORNO FESTIVO, ALLA LUNA, IL SOGNO, LA VITA SOLITARIA, IL FRAMMENTO XXXVII) nel NUOVO RICOGLITORE di Milano del dicembre 1825 e del gennaio 1826, quindi nel volumetto dei VERSI, Stamperia delle Muse, Bologna 1826 e in quella fiorentina dei CANTI (Piatti, Firenze, 1831). Il titolo originario era “LA SERA DEL GIORNO FESTIVO”. Il nuovo titolo LA SERA DEL Dì DI FESTA appare, con alcune varianti, nella seconda edizione dei CANTI (Starita, Napoli, 1835) curata dall’autore e dall’amico Antonio Ranieri, due anni prima della scomparsa del poeta.

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Ciro Tremolaterra, "Sorrisi da un piccolo giardino"

cover_tremolaterra
Dalla Prefazione di Paola Casulli
Un fondale d’ombra, di frescura, di prati al tramonto e di rondini. E’ quello su cui si posa questa poesia nata dalla voce elegante e sobria, limpida e leggera di Ciro Tremolaterra.
E il silenzio! Il silenzio che ora si espande, ora si contrae. Si disgrega, si fonde, si disintegra nuovamente e svanisce. Poi ritorna. Un silenzio che non è tacere ma geometria ben congegnata di un sé mai smarrito seppur dolente. Mai concluso ma che, nella percezione tutta della vita, accetta in sorte un’umanità delle cose e degli eventi ben dritta, serenamente cosapevole che il mondo è sempre inseparabilmente commedia e tragedia.
Un silenzio leggero “come i capelli di una ragazza… una ragazza segreta”… Un flusso continuo di parole, la poesia di Ciro Tremolaterra, che disegna l’esistenza come uno scrigno che, una volta spalancato, rivela il soffice tappeto blu della memoria. […]
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Ivanoe Privitera, “L’istante violento”

Nello scaffale, Ivanoe Privitera
a cura di Luigia Sorrentino

Sono sorpresa e stupita da queste nuove poesie che leggo di Ivanoe Privitera, “L’istante violento” opera vincitrice della VI edizione del Premio Giovane Holden, Collana Versi di segale. Sorpresa e stupita perché Ivanoe canta il pianto e la morte. E a me sorprende che i giovani imparino a morire… cosa vuol dire questo?  Ivanoe Privitera si cala nella condizione umana, e piange “un pianto/ che sa di muta trasparenza/ e dell’assente si nutre/ e con la pioggia si confonde/ nella finta quiete del tramonto/fino ad affogare”.
Nessun verso consolatorio, quindi, ma grande consapevolezza. L’urto del presente si fa sentire e genera un vuoto incolmabile, rende nullo anche il tempo. Ma qualcosa si muove, nell’abbraccio del fratello, c’è di sicuro, il desiderio del ritorno.  
(di Luigia Sorrentino) Continua a leggere

In memoria di te, Stefano Giovanardi

In memoria di te: Stefano Giovanardi
a cura di Luigia Sorrentino

Oggi, 30 novembre 2012, a un mese esatto dalla scomparsa di Stefano Giovanardi – Roma, 30 ottobre 2012 – Maurizio Cucchi ricorda con una poesia inedita a lui dedicata l’amico prematuramente scomparso. L’abbraccio di Rainews e di questo blog va alla famiglia di Stefano Giovanardi.

Stefano Giovanardi è stato un critico letterario ordinario di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università del Molise. Nel 1996 con Maurizio Cucchi ha curato l’antologia “Poeti italiani del secondo ‘900” (Arnoldo Mondadori Editore). Continua a leggere

“Ungaretti”, di Antonio Saccone

Un nuovo saggio su Giuseppe Ungaretti indaga l’inquietudine sperimentale, la tensione a scavare nel silenzio della parola che governano il libro dell’esordio del poeta, Il Porto Sepolto, l’accanito processo variantistico dell”Allegria, l’esigenza di accordare innocenza e memoria, espressa da Sentimento del Tempo, la reinvenzione del canone della classicità, il tragitto inconcluso verso La Terra Promessa, fino agli ultimi, eccezionali vertici raggiunti dalla scrittura del “vecchissimo ossesso”.
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Antonio Saccone, professore di letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Napoli “Federico II”, è l’autore del libro “Ungaretti“, pubblicato dall’Editrice Salerno (euro 16). Tutta l’analisi è tesa a descrivere la fisionomia di un artista costantemente intento “ad accordare modernamente un antico strumento musicale” e intreccia alla produzione lirica le prose giornalistiche di viaggio, l’esperienza didattica del poeta, nonché la cospicua e vitale attività di traduttore e saggista. Lo studio si conclude con un’aggiornata bibliografia. Continua a leggere

Ad Ancona omaggio a Wilslawa Szymborska

L’Associazione italo-polacca delle Marche, insieme al Comune e alla Provincia di Ancona, all’Ambasciata della Repubblica di Polonia in Italia e all’Istituto polacco di Roma, rende omaggio con un’inizativa al Premio Nobel Wislawa Szymborska, scomparsa di recente.

Il Ridotto del Teatro delle Muse ospiterà venerdì 2 marzo una lettura di poesie della poetessa polacca e la proiezione di un documentario inedito in lingua italiana sulla Szymborska. L’evento è in collaborazione con l’associazione Nie Wiem (‘non so’ in lingua non so’ , una frase speso usata dalla poetessa), il Centro Teatrale Rinaldini, l’Accademia Mediterranea e la Commissione regionale Pari opportunità. Continua a leggere

Wislawa Szimborska, nulla accade due volte…

“Nulla accade due volte”

Grande silenzio e profonda emozione oggi, 9 febbraio 2012, a Cracovia, dove nel vecchio cimitero Rakowicki, alla presenza delle massime cariche dello stato, si sono svolti i funerali della poetessa polacca Wislawa Szymborska, Premio Nobel per la letteratura nel 1996, morta il primo febbraio scorso all’età di quasi 89 anni. “Oggi diamo l’ultimo saluto alla poetessa del lato sereno del mondo” ha detto nel suo intervento il presidente Bronislaw Komorowski giunto oggi a Cracovia insieme alla moglie Anna. Continua a leggere

In memoria di te, Fernanda Pivano

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In memoria di te
a cura di Luigia Sorrentino

Il 18 luglio 1917 nacque a Genova la scrittrice Fernanda Pivano. Cesare Pavese – che fu il suo insegnante privato – voleva che la Nanda leggesse “Addio alle armi” per capire la differenza tra la letteratura inglese e la letteratura americana. Gli altri libri che il poeta le lasciò una sera c’erano l'”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, l’ “Autobiografia” di Sherwood Anderson e “I fili d’erba” di Walt Withman. Continua a leggere