Silvio Perrella
Intervista a Silvio Perrella
di Luigia Sorrentino
Napoli, 30 ottobre 2006
Qual è la forma di Napoli? Quella che si vede in superficie, o quella nascosta, sotterranea, piena di inquietudini e di Storia? E qual è il legame tra la città che sta sopra e quella che sta sotto? Silvio Perrella, scrittore e critico, nato a Palermo nel 1959, ma trapiantatosi a Napoli negli anni Settanta, in Giùnapoli (Neri Pozza, 2006) muove i suoi primi passi «alla scoperta della città dai mille clamori» rischiando continuamente di perdersi, trascinando con sè un filo per riconnettersi, come ha scritto Elena Ferrante, ai «luoghi disintegrati delle emozioni», tessendo continuamente la domanda: qual è la forma di Napoli, la sua natura sfuggente che riduce in cenere ogni sua immagine o rappresentazione? La passeggiata con Silvio Perrella alla scoperta di Napoli inizia dal ventre della città, da Via Benedetto Croce, luogo in cui il protagonista di Giùnapoli, conclude il suo viaggio. E’ qui che Perrella scopre, e lo scopre camminando, il suo profondo innamoramento per Napoli e per i ‘giganti’ che la abitarono. Uno di questi fu Benedetto Croce.
Nel suo libro lei a un certo punto racconta di Benedetto Croce e dice: «C’è un gigante ibernato, di cui è possibile vedere ogni dettaglio e sentire ancora il respiro. Ha ancora gli occhi aperti. Aspetta pazientemente. Sì, un gigante che ha nascosto le ali tra i libri. E bisogna essere un po’ archeologi per sentirne la presenza. Anche dall’alto, con il binocolo, si dovrebbe vedere una figura disseminata nella città, qualcosa di unico, che nelle altre città italiane non esiste. Un uccello preistorico e moderno, una fenice e un albatros.» (da Giùnapoli, pag. 169.) Lei intende dire che la presenza di questo «gigante ibernato», Benedetto Croce, ricongiunge, metaforicamente, la Napoli che si vede dall’alto con quella che si vede dal basso. E noi, ora, stiamo passando proprio davanti al palazzo dove visse questo ‘gigante’…
«Noi siamo ora in Via Benedetto Croce. Siamo appena passati da Palazzo Filomarino. Lo ha mai visitato? E’ un luogo molto particolare: conserva la biblioteca di Benedetto Croce. Io credo che in Italia, e forse in Europa, vi siano poche altre biblioteche private di questo genere, entro cui c’è ancora qualcosa che è visibile, cioè la voglia, il desiderio e la possibilità di concentrare il sapere nella mente di un solo uomo. Visitare la biblioteca di Croce, come io faccio fare al protagonista del mio libro, è un momento in cui Napoli ci racconta e ci suggerisce qualche cosa che ti fa capire la sua Grandezza, quanto sia stata innestata nella Storia e quanto, speriamo, lo sia ancora.»
Perrella, immaginiamo ora di essere proprio nella Napoli degli anni ’70, quando il protagonista del suo libro arriva a Napoli. Qual è la sua storia?
«La storia di iniziazione di uno straniero. Che venga da Palermo è importante, ma lo è fino a un certo punto… E’ la storia di uno che non è nato a Napoli, ma che a Napoli cerca una conoscenza. Vuole fare esperienza, vuole capire se è possibile vivere a Napoli. Lui è affascinato, all’inizio. Napoli gli dà un impatto violento, difficile, lo spiazza, però nello stesso tempo gli suggerisce che la città è come se possedesse un corpo. Napoli, improvvisamente, gli si configura come un corpo che si relaziona al tuo corpo individuale, un corpo più vasto, un corpo sociale, stratificato, complesso, che chiede una conoscenza e chiede lo sguardo di chi sa penetrare, di chi non si ferma alla superficie, di chi appunto, va Giùnapoli, non solo dal punto di vista urbanistico e strutturale, seguendo la verticalità della città, ma che va anche al di sotto dei luoghi comuni, che non si ferma.»
E poi? che cosa succede al suo protagonista?
«Camminando scopre che la conoscenza della città è possibile solo se ci si avventura, per le scale, per i gradini, per i gradoni, per il Petraio, per la Pedamentina. Predilige, ad esempio, le funicolari, che sono un mezzo di trasporto verticale che congiunge rapidamente parti diverse delle città. E a un certo punto si rende conto di una cosa che non sempre è raccontata in modo così evidente: che Napoli ha una verticalità molto forte e che questa verticalità non è solo legata all’architettura ma è anche una verticalità sociale, e lui sente che è necessario connettere l’alto con il basso, e scopre che quando si connettono l’alto e il basso, e cioè il ‘giùnapoli’ e il ‘sùnapoli’, la città diventa grande, diventa importante, diventa la più grande metropoli europea, come diceva Elsa Morante in un suo scritto.»
Giùnapoli
Noi ora stiamo percorrendo a piedi la parte più antica della città. Con un solo colpo d’occhio, voltandoci indietro, possiamo vedere in uno scorcio lontano, la Napoli Alta: la Certosa di San Martino e Sant’Elmo. Uno dei paesaggi più suggestivi della città.
«Noi siamo ora a Piazza San Domenico Maggiore. In questa piazza vale la pena di fermarsi per vedere proprio la verticalità di cui parlavo prima. Siamo nella zona che si chiama Spaccanapoli: ci sono tante strade e il decumano Maggiore, siamo nella struttura greco-romana: da qui possiamo vedere chiaramente la città che va verso l’alto, verso Castel Sant Elmo, e la Certosa di San Martino situata sulla sommità della collina. Il rapporto tra il basso della città e l’alto della collina ricorda l’Acropoli di Atene, e fa pensare, anche, alla possibilità che ci sia stata a Napoli una fondazione molto antica. Tanto è vero che, per molto tempo, il rapporto tra alto e basso della città era assicurato da una unica strada, la Pedamentina.» Continua a leggere→