Teresa Maresca, “Song of Myself”

Ventotto giovani si bagnano lungo la spiaggia,
ventotto uomini giovani e tutti così amici
ventotto anni di vita femminile e tutta così sola

(Song of Myself, 11, Walt Whitman)

 

Dal 3 aprile sino al 5 maggio 2019, l’elegante edificio liberty di inizio Novecento che ospita
l’Acquario Civico di Milano accoglierà tra le sue pareti e le sue vasche la mostra TERESA
MARESCA, Song of Myself, promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura e
dall’Acquario – Civica Stazione Idrobiologica di Milano.

L’esposizione, a cura di Raffaella Resch, è parte del programma Milano Art Week 2019 (1-7 aprile), palinsesto del Comune di Milano dedicato all’arte moderna e contemporanea.

TERESA MARESCA, con Song of Myself pone al centro dell’indagine il rapporto tra uomo e Natura, traendo il suo titolo dalla raccolta poetica del poeta americano Walt Whitman (1819-1892), di cui proprio nel 2019 si celebrano i 200 anni dalla nascita.

L’omaggio a Whitman è duplice, in quanto oltre al poemetto undicesimo di Song of Myself, in cui ventotto uomini si bagnano di notte nel fiume, Teresa Maresca si ispira anche al “Canto della Sequoia”, la Red Oak Tree che nel testo di Whitman prende la parola in prima
persona, come simbolo della sterminata e incontaminata natura americana.

Artista dedita alla pittura, al disegno e all’incisione, mossa da un motivo ispiratore non di rado mutuato dalla poesia e dalla filosofia, Maresca elabora composizioni di grande impatto richiamando gestualità e cromatismi dei Neue Wilden, il movimento neoespressionista berlinese dei Nuovi Selvaggi, ma anche il Realismo Magico di Peter Doig, tendenze che si contraddistinguono entrambe per una costante riflessione sul ruolo dell’uomo nell’ambiente. Continua a leggere

Stefano Bortolussi, “I labili confini”

I labili confini” di Stefano Bortolussi, con Prefazione di Roberto Mussapi, riprendono la tensione epica e narrativa del libro che l’ha preceduta (“Califia”, Jaca Book 2014), riproponendone una delle figure principali nel poema “La scelta del plantigrado”, che occupa tutta la prima parte dell’opera. Tracciando un ponte inusitato tra i miti moderni del noir e del cinema americano e quelli della classicità il poema mostra un mondo di pericoli, slittamenti e metamorfosi sempre in agguato dietro schermi, tornanti e facciate hollywoodiane. La seconda parte, intitolata “Di altri spiriti guida”, partecipa del medesimo senso di meraviglia, ispirato da un universo naturale quasi panteistico, osservato ed esplorato nelle sue sorprese e nelle sue irruzioni ierofaniche.

Dalla prefazione di Roberto Mussapi

I labili confini” è un libro di metamorfosi. È la nuova opera in versi di Stefano Bortolussi, segue “Califia”, poema anche epico il cui titolo è il nome antico della California. Aura mitologica nel nome e nel poema, modernamente fluente e baluginante in un clangore contemporaneo, una riscoperta del sedimento nella realtà di oggi.
Americana ancora l’ambientazione di questo nuovo libro diviso nettamente in due parti, meglio ancora due libri perfettamente accostabili e facenti parti di un felice unicum.
Anche qui dell’aura americana emerge la realtà incessante della metamorfosi, che è poi lo spirito del prototipo poundiano e del Ponte di Hart Crane, due pilastri della poesia di Bortolussi. Continua a leggere

Stefano Bortolussi, “Califia”

 

bortolussiCalifia è un libro che la nostra poesia d’oggi aspettava. Necessario, augurale. Bortolussi qui fonde lirica ed epica in un poema potente, di ampia e profonda risonanza. Califia è il primo nome dato alla California da Cortés, toccando le rive di quella terra, convinto che fosse un’isola: la battezzò così in onore di una leggendaria regina di donne guerriere in un’isola immaginaria dell’oceano indiano.

Califia è una sorta di “viaggio a Occidente” mentale e poetico, un “tutto” poematico e in parte drammaturgico, un’immersione nel profondo di una terra vista e vissuta come luogo di meraviglie e ierofanie, in cui mito e contemporaneo si fondono: il surfer, il povero migrante messicano vittima sacrificale dal coguaro,  la musica West Coast anni Sessanta il grande regista Billy Wilder che assume la voce di Coyote, nella realtà atemporale, incantante di questa Atlantide americana. Le Metamorfosi di Ovidio, lo sciamanesimo degli indiani d’America, l’ombra di Hart Crane, il poeta del ponte di Brooklin, la lezione di Ritsos, Walcott, pochissimi altri autori “poematici” del nostro tempo, animano, in un respiro internazionale, una versificazione pacata e ardente, ventosa e narrante: un’indicazione di rotta per i poeti delle nuove generazioni: “-perché come mi ha dettato questa terra,/come di questa terra hanno scritto i suoi poeti,/ io sarò il viaggio, il viaggio sarà me.”

 

ROBERTO MUSSAPI

Continua a leggere