Il finalista del Premio Ceppo Biennale Poesia edizione 2023 Stefano Massari intervistato da Fabrizio Fantoni nel contesto della Biblioteca San Giorgio di Pistoia. Continua a leggere
Archivi tag: Stefano Massari
zona|disforme, Stefano Raimondi
speciale ‘monografico’ del progetto zona|disforme
dedicato al poeta Stefano Raimondi
girato a Milano tra ottobre 2022 e marzo 2023
regia fotografia suono montaggio post-produzione
Carlotta Cicci e Stefano Massari
notizia:
Stefano Raimondi (Milano, 1964)
poeta e critico letterario.
Ha pubblicato Invernale (Lietocolle, 1999); Una lettura d’anni, in Poesia Contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, 2001);
La città dell’orto (Casagrande, 2002; La vita felice 2021 – Premio Sertoli Salis 2002); Il mare dietro l’autostrada (Lietocolle, 2005);
Interni con finestre (La Vita Felice, 2009); Per restare fedeli (Transeuropa, 2013 – Premio Marazza 2013);
Soltanto vive. 59 Monologhi (Mimesis, 2016 – Premio Nazionale Franco Enriquez 2017);
Il cane di Giacometti (Marcos y Marcos, 2017- Premio Città di Trento 2018 e Premio “Il Ceppo- Pistoia” 2018),
Il sogno di Giuseppe (Amos 2019 – Finalista Premio Città di Como 2019 e Città di Fiumicino 2019);
Storie per taccuino piccolo piccolo, (Scalpendi Editore 2022).
Sue poesie in “Almanacco dello Specchio” (Mondadori, 2006) e “Nuovi Argomenti” (2000; 2004).
È inoltre autore di saggi ed è tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica” (Università degli Studi di Milano),
oltre che fondatore e membro del Comitato scientifico di
“L’ABB Luoghi abbandonati, luoghi ritrovati. Laboratorio Permanente sui territori e le comunità” Università degli Studi di Milano. Continua a leggere
Apocalisse senza redenzione
Su Le parti del grido di Lorenzo Chiuchiù
Nota di lettura dii Alessandro Bellasio
Da sempre fedele a una parola ultimativa e destinale, giunto alla terza raccolta dopo le precedenti Iride incendio (2005) e Sorteggio (2012), con Le parti del grido Lorenzo Chiuchiù ci consegna un libro al calor bianco, dove l’incandescenza della parola è però puntualmente raggelata dalla lucidità di una visione aliena a ogni enfasi, concentrata unicamente sull’esattezza del dire, sulla precisione assoluta; versi affilati e cesellati a uno a uno, passati per le molte armi da taglio che affollano da sempre i libri del poeta perugino. Una poesia difficile da maneggiare, refrattaria a ogni contromisura da parte del lettore, a qualsiasi tentativo di addomesticamento dialettico, di patteggiamento, di deviazione. Una parola tersa e tesa, concentrata, con cui non si può tentennare e che ci chiama in causa direttamente, senza possibilità d’appello. Abitata, potremmo dire anzi posseduta, da quella violenza misurata e sorvegliatissima così distintiva di Chiuchiù, il quale ha sempre puntato alle verità ultime, ma ha anche sempre avuto ben presente che, con tali verità, non è possibile far romanzo, allestire trama o racconto, poiché esse si danno invece solo per lampeggiamenti, per accensioni improvvise. Siamo qui, nel tempo e nella storia, «come se la vita fosse intera», ma in realtà, a un livello più profondo, si danno battaglia forze e leggi ancestrali, appena intuibili, e «tutto è senza nome, aperto | e sacro come l’occhio del lupo | o come il patto, il suicida, l’innato.» Tutto avviene in uno spazio ripido, scosceso, che minaccia di spalancarci sotto i piedi la voragine fatale – ma senza concessione alcuna al dramma, perché proprio su questo terreno si gioca la partita decisiva della poetica di Chiuchiù, su questa abolizione del pathos drammatico in favore della presa di coscienza tragica, della lucidità impassibile e prolungata, che con voce partecipe ma mai enfatica constata la necessità di tutto quanto accade. Di modo che se anche quella voragine si spalancasse, non vi sarebbe che da prendere atto di un destino precedente, che ci attendeva lì da sempre. È questa una poesia che non si lascia sedurre dall’elegia, né tentare dalla recriminazione: «siamo solo questa gravità del sangue che ci reclama interi, frontali, e perfetti nelle nostre sconfitte, illuminati da pura ferita.»
E d’altro canto, a livello stilistico, la vis potentemente assertiva di questa poesia trova espressione nel serrato susseguirsi dei tanti imperativi, con i quali non a caso l’opera si apre («Ripeti contro di te: ti illudesti») e si chiude («accetta la morte perché anche quella sono io»), convalidando così anche sul piano delle scelte sintattico-grammaticali l’essenza circolare, centripeta del suo movimento, «dall’unico all’unico». Unità di intenzione e di intonazione poetica, unità di pensiero e di visione, di stile: è questo che emerge considerando anche i precedenti lavori di Chiuchiù, che di libro in libro ha scavato e attinto alle risorse di un mondo coerente, compatto; un poeta e una poesia monacale, claustrale, un’avventura solitaria fedele ai suoi perimetri. Giocata tutta sulla tensione. E dove ogni cosa accade una volta e per sempre, irreversibilmente, potremmo dire “grecamente”. Perché in effetti fin dall’esordio di Iride incendio, e poi più distintamente con Sorteggio[1], Lorenzo Chiuchiù ci ha abituati a uno sguardo presocratico, sapienziale, più vicino ai guizzi e alle accensioni degli ardui moniti eraclitei che non alle raffinate scepsi dialettico-forensi della polis platonica. E un tale sguardo, così antico e inattuale, come testimonia l’esperienza di Chiuchiù può trovare oggi solo nelle lente distillazioni di una lirica asciutta e visionaria una direzione e una voce commisurate alla sua forza arcaica, elementare. Continua a leggere
Stefano Massari, “Le parole per dirlo”
Il video di Stefano Massari nasce con l’obiettivo di creare un’occasione per dire la malattia, o meglio le paure, il dolore, la frustrazione, la speranza che la malattia genera in chi la sperimenta o in chi vive a fianco di chi la sperimenta come parente, medico, infermiere, volontario.