“Nonostante la fine del mondo”

 

serriCiò che Stefano Serri sa fare – e lo sa fare bene – è non cadere nel lirismo troppo acceso, pur non rinunciando a puntare verso la vetta. In questo, un grande pregio della sua poesia – e un pregio che rende Nonostante la fine del mondo un raro esempio di libro “a tema” ben riuscito in forma e sostanza – è quello di evitare una troppo scoperta poesia del quotidiano, come un ciclista evita le buche. In questo esperimento si poteva fallire in diversi modi, due su tutti a parere di chi scrive: esagerare nel compianto, o abbandonarsi alla retorica dei piccoli gesti che salvano. Le due cose, in realtà, coesistono nei componimenti di questo volumetto, ma le dosi sono ottimali, e l’amalgama garantito da una lingua pulita e accessibile – nonostante le dolorose e spesso suggestive inarcature della sintassi – restituisce un elaborato di grande effetto e sicuro piacere della lettura.

 

Dalla prefazione di Marco Bini

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Pedro Serrano, “Torba”

 

pedro-serrano[1]Nota di Stefano Serri

Un mondo di pietra, che s’indurisce e poi si sbriciola, è il protagonista di Torba, quarta raccolta poetica di Pedro Serrano. Nell’universo dell’artista messicano la parola, il corpo e la storia si solidificano, diventando labirinto: il poeta non è che un fossile e anche le emozioni si fanno inorganiche. Ma la solidità minerale della realtà cede alla frattura e “la geometria rugosa della storia” si risolve in una fuga di frammenti non più correlabili tra loro. Anche il linguaggio risente di questa sfaldatura, così che l’unico collante rimasto in questa babele è l’accostamento di termini secondo un codice irrazionale, quasi surrealista, capace di generare immagini inattese (“una nappa di paura”, “un’amaca di dolore”). Dalla bocca del poeta, spalancata o ferita, gravata dalla “nomenclatura nella mandibola”, non emerge la gioia del canto, ma lo sforzo puntuale e la tensione del ridare un nome alle cose, come un nuovo Adamo. Il libro di Serrano, tradotto da Chiara De Luca, si configura come un’opera di pietra, a tratti grezza, a tratti cesellata, ma che si arrende al miracolo quotidiano del sole, “pietra miracolosa”, e alla vittoria del bianco: perché solo nella luce del mezzogiorno si realizza “il tremore azzurro del certo”. Continua a leggere

La poesia francese, Jean-Baptiste Para

Jean-Baptiste-Para
A cura di Luigia Sorrentino

Nota di Stefano Serri

Una passeggiata che si fa dialogo
Traducendo Jean-Baptiste Para

Imbattendomi, all’improvviso, nelle poesie di Jean-Baptiste Para, mi sono accorto di avere di fronte un’opera (non un solo libro) coerente e equilibrata. Non vanno molto di moda la calma, l’attenzione e la costanza: ma sono queste le caratteristiche che guidano la mano dell’autore di Atlantes e la Faim des ombres. Ho intuito, nel corso della lettura prima, e della traduzione poi, una profonda fedeltà ad alcuni temi e modi: tra tutti, emerge la costante ricerca di intersezioni tra culture differenti. Per prima la classicità, che si offre in un ricco repertorio di personaggi e miti; poi l’universo russo e quello italiano: “anima russa e italiana all’unisono”, cita in “Tra il marmo e il vapore”. Senza dimenticare altri apporti, di paesi di lingua francese, fino all’antica poesia iraniana.
Ma questo crocevia di saperi non genera un dotto esercizio umanistico: al centro della maggior parte delle poesie qui tradotte si trovano persone e storie, più che aneddoti ed emblemi. Come in una galleria di erme custodite in un lapidario vivente, attraversiamo un frutteto di dialoghi orentati a stabilire “La forma esatta dell’incerto”.
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