AUTORITRATTO
da un’idea di Luigia Sorrentino
a cura di Fabrizio Fantoni
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Appunti per un ritratto-da-farsi
di Federico Carrera
Tratteggiare un ritratto di sé a ventidue anni non è cosa facile: la mano trema e il pennello sembra sempre inspiegabilmente asciutto. Si ripiega allora sulla matita, sempre che la punta non si spezzi, il foglio non si squarci e così via. Ma a me piace usare la matita. Sono in confidenza: prendo appunti a matita, sottolineo libri e manuali a matita.
La penna è troppo definitiva. Riconosco che si tratta di un segno di incertezza, di insicurezza, ma la matita mi mette al riparo, dall’errore e dalla definizione. Ho poco più di vent’anni, dicevo. Forse si pretende da me, adesso, il ritratto di un ventenne, di un giovane studente universitario.
Ma non so bene da dove partire. Mi piacerebbe avere un respiro generazionale. Mi è negato alla radice, non ne ho l’indole. Ma per un ritratto forse è bene partire da lontano – la prospettiva migliore dalla quale tentare di descriversi.
Riconosco (abbozzo) due stagioni nella mia vita: una in cui si piange, una in cui non si riesce a piangere. È stato tutto qui, il mio vivere, tra questi due poli.
Fino ai quattordici anni, ho pianto per ogni cosa – dal dolore al piccolo capriccio.
In particolare, mi commuovevo sinceramente per i film che guardavo – strumenti emotivamente ben calcolati. In effetti, a quell’età (a dire il vero già da qualche tempo prima, forse da sempre), il cinema ha incominciato ad avere un’importanza capitale per me. E continua tutt’ora ad averne. Al punto che, quando mi chiedono cosa io voglia fare ‘da grande’, mi trovo sempre a rispondere con la stessa coppia di parole: “il regista”.
Il cinema ha aperto ai miei occhi da pre-adolescente ancora-bambino le porte di un mondo altro (Altro?), fatto di immagini e colori, di musiche ben studiate e colpi di scena, ordinato in schemi narrativi ora nascosti ora incontrovertibili ora curiosamente liberi. Un mondo del tutto preferibile, insomma, a questo nostro quotidiano, in cui viviamo e che siamo abituati a chiamare reale.
Tuttavia, per me – e in questo non posso mentire – il cinema è sempre stato più reale della realtà, più importante, più degno di attenzioni e di cure. Ma non voglio divagare.
Dicevo: un tempo in cui si piange, un altro in cui non si riesce. Continua a leggere