Dall’Introduzione di Edoardo Sanguineti
Gozzano, cosciente dell’obsolescenza, non finge entusiasmi, e non si getta dentro: è il suo vero esilio. La sua linea di condotta è gustosamente paradossale: anziché fabbricare il moderno destinato all’invecchiamento, come accade per i vini di buona annata e per ogni neue Dichtung, cioè l’obsolescenza, fabbrica direttamente l’obsoleto, in perfetta coscienza e serietà. Ciò che è di moda è da lui contemplato e assunto come già démodé: il tocco da fantino è subito percepito come esotico nel tempo, esattamente al modo in cui (rovesciato il procedimento) la fotografia è una «novissima cosa». Il segreto di una poetica degli oggetti, se vogliamo, è tutta qui: si tratta di intendere che tutto è datato, irrimediabilmente datato («Adoro le date. Le date: incanto che non so dire...»), e che dunque, in partenza, la degradazione del consumo fa di ogni immagine, di ogni «bella cosa viva», una «vecchia stampa», anche e soprattutto ove si tratti di realtà di forte evidenza «moderna», come avviene per l’automobile di Totò Merúmeni, e per presenze affini. Non resta che coltivare cose «vestite di tempo»: ma tutto è già vestito di tempo, ormai.