Adam Zagajewski, “Guarire dal silenzio”

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

La poesia di Adam Zagajewski, come ricorda Andrea Ceccherelli nel volume antologico Cose di Polonia (In forma di parole, 2001), «conosce due fasi distinte». La prima è legata al gruppo letterario Nowa Fala — che traduce l’espressione italiana Nuova Ondata  — con una poetica radicata nel tessuto sociale, tesa a cogliere istantaneamente la natura. Ciò pone un dilemma estetico, teorizzato nella raccolta di saggi Il mondo non rappresentato (scritto con Julian Kornhauser), per il quale il vero deve superare ogni compiacimento relativo all’ideale disincarnato del bello. Il compito della letteratura coincide essenzialmente con un progetto di «demistificazione della retorica di regime», che si attua nella denuncia alla falsità propagandista e nella restituzione di decoro alla lingua. La «generazione ’68» — Zagajewski nasce nel ’45 a Leopoli, trascorre l’infanzia in Slesia a Gliwice, compirà gli studi universitari a Cracovia — si sgretola, verso la fine degli anni Settanta, in tanti (micro e macro) percorsi autonomi. Del resto, suggerisce Ceccherelli, uno «sguardo retrospettivo» lascia trasparire fin nelle sue fondamenta «non un gruppo coeso», bensì una «federazione di individualità».


Dal 1983 con la raccolta Lettera. Ode alla pluralità Zagajewski sviluppa una visione molto meno inserita in istanze collettive, perché tende a confrontarsi con temi assai vicini a quella che, da Baudelaire in giù, è definita a rigore critico poesia metafisica. È a partire da tale svolta che la sua opera assume una più decisa dimensione internazionale. Un aneddoto su tutti: il futuro Premio Nobel Derek Walcott, leggendo in taxi Andare a Leopoli (un po’ come Heisenberg che in taxi ripensò a un passo del Timeo e scoprì il principio di indeterminazione), rimase letteralmente sbalordito. A dispetto della fama crescente, Zagajewski vive in questo periodo, per lungo tempo e con dolore, lontano da casa: l’anno precedente alla pubblicazione di Lettera, a causa della legge marziale polacca — il governo della Repubblica Popolare limitò drasticamente la vita quotidiana nel tentativo di annientare Solidarność – è costretto all’esilio e si rifugia a Parigi (nel biennio ’79-’81 era stato a Berlino per un’iniziativa di scambi culturali). Insegnerà, inoltre, negli Stati Uniti, precisamente a Houston e a Chicago. Soltanto dal 2002 tornerà a vivere per metà semestre in Polonia. Sono anni in cui Zagajewski affina parallelamente un metodo saggistico che lo congiunge all’elegante tradizione mitteleuropea. Con leopardiana destrezza perviene, infatti, a due pilastri indiscussi della sua scrittura: Tradimento, di cui nel 2007 è uscita l’edizione Adelphi, e La leggera esagerazione, composta un po’ à la Kertész, sfortunatamente ancora non edita nella nostra lingua, ma considerata dall’autore stesso uno dei suoi massimi lavori. La prosa coincide sostanzialmente con l’impegno epico sulle cose, con la solidarietà e la solitudine, fondamenti del vivere umano per penetrare l’enigma e il fascino della bellezza altrui (il titolo di un celebre saggio è Nella bellezza di qualcun altro).

 

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“Olimpia”, di Luigia Sorrentino

di Fabrizio Fantoni
Roma, 10 febbraio 2013

Milo De Angelis nella prefazione di “Olimpia” (Interlinea 2013), afferma: “Scrivendo Olimpia, Luigia Sorrentino scrive il libro della sua vita. Olimpia punta all’essenza, tocca in profondità le grandi questioni dell’origine e della morte, dell’umano e del sacro, del nostro incontro con i millenni. Ha uno sguardo lungimirante: sguardo ampio, prospettico, a volo d’aquila. Ma ha anche improvvisi affondi nella fiamma del verso.”[…] E aggiunge: […] “I tempi s’intrecciano, entrano in un’epopea dove tutto è così nostro da diventare remoto, tutto è così perduto da diventare presente. Olimpia riesce a esprimere questo tempo assoluto, e lo fa in modo mirabile, con architetture possenti ma anche con i guizzi fulminei della vera poesia. Tempo assoluto che contiene ogni tempo.” Un’opera della maturità, sottintende il poeta scrivendo: “Olimpia punta all’essenza, tocca in profondità le grandi origini della vita e della morte.”
Chi è per te Olimpia?

 

Olimpia” è l’incontro con un luogo, con un’essenza femminile, con una città, con una condizione, la condizione umana. Nel libro non vi è più nulla della città, forse non c’è più nemmeno l’umano, ma soltanto il riverbero di una voce che arriva da lontano. Tutto è irrimediabilmente sparito, raso al suolo, forse proprio per questo De Angelis scrive che “Olimpia” esprime un tempo assoluto, cioè un tempo che contiene ogni tempo. Tutto è già accaduto, è dietro di noi, ma anche davanti a noi, racchiuso in uno spazio circolare. La poesia è lì, in un’essenza viva, nitida, pulsante, è una voce che chiama a sé i suoi figli e li accresce, “in tutto ciò che siamo stati” e facendo questo percorso a ritroso nel tempo, tocca le grandi origini della vita e della morte. Continua a leggere

Zarmina, è stata uccisa perché amava la poesia

Accade che in Afghanistan una donna muoia per la poesia. Accade a Kandahar e sembra incredibile che possa davvero accadere. Il nome nome di questa donna uccisa per la poesia  è Zarmina. E’ stata picchiata a sangue dai fratelli per aver letto e scritto poesie. Poesie d’amore – le avevano impedito di sposare l’uomo che amava – e allora lei si è data fuoco, per ‘rappresentare’ la sua sofferenza estrema. Il suo corpo non ce l’ha fatta. E’ morta dopo una settimana in ospedale.  Zarmina scriveva di nascosto, ma i suoi fratelli l’avevano sorpresa mentre leggeva le sue poesie, versi che aveva buttato giù di nascososto, lontano dagli occhi del mondo dominato da uomini che conoscono solo la guerra e l’oppio. Continua a leggere

Video-Intervista a Adam Zagajewski

Adam Zagajewski / credits ph. Silvio Lacasella


Adam Zagajewski
a cura di Luigia Sorrentino

Adam Zagajevski, saggista, scrittore e poeta, è nato a Leopoli (che ha fatto parte dell’ex Unione Sovietica e ora si trova in Ucraina) nel 1945. E’ considerato con Wislawa Szymborska il maggiore poeta polacco vivente. (Foto di Silvio Lacasella).

Zagajewski è noto anche per il poema “Try To Praise The Mutilated World”  – “Tentativo di lode al mondo mutilato” -uscito a puntate sul periodico statunitense “The New Yorker” e diventato celebre dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Candidato al Nobel per la Letteratura,  Zagajewski ha una voce che parla dallo sfondo di immense devastazioni contaminate dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Shoah. Aveva solo quattro mesi quando la sua famiglia fu deportata in Polonia, paese di cui era originaria. Nel 1981 a causa della legge marziale polacca (quando il governo della Repubblica Popolare limitò drasticamente la vita quotidiana con l’introduzione della legge marziale, nel tentativo di schiacciare l’opposizione politica guidata dal movimento di Solidarnosc) Zagajewski fu costretto all’esilio e si rifugiò in Francia, a Parigi. Dal 2002  è tornato a vivere in Polonia. Attualmente risiede tra Cracovia e gli Stati Uniti e insegna all’Università di Chicago.

La sua autobiografia “Tradimento” è stata pubblicata dalla casa editrice Adelphi nel 2007, (traduzione di Valentina Parisi). La stessa casa editrice ha in corso di pubblicazione (per il 2012) una scelta significativa dell’intera opera poetica di Zagajewski.

Intervista Adam Zagajewski
di Luigia Sorrentino

Accademia americana di Roma
17 marzo 2011

In “Tradimento”, lei scrive: “La vita è tradimento. Chiunque possegga un’anima immortale, e abbia ricevuto la vita, è un traditore.” Sembra proprio che in questo libro per lei sia impossibile venire al mondo fuori della condizione del ‘tradire’ e ‘dell’essere traditi’.
Perché la vita è tradimento?

“Credo che abbiamo un innato desiderio di perfezione dentro di noi, ma la vita non è mai perfetta come l’idea che abbiamo di essa. Per me questi due livelli sono interessanti. Da una parte la nostra vita interiore, che forse non è perfetta, ma è ‘ideale’, e poi l’altro livello, quello quotidiano in cui siamo corrotti e non possiamo seguire i nostri ideali. Quelli che scrivono letteratura, e più in generale quelli che si occupano di arte, sono consapevoli di questa discrepanza tra la vita interiore e la vita economica o familiare. E’ un tradimento, non il peggiore, ma comunque un tradimento.”

Lei scrive: “Il mondo interiore, il regno assoluto della poesia, ha la caratteristica di essere inesprimibile.” E allora, che cosa succede se quel mondo interiore e inesprimibile, aspira soprattutto ad esprimersi? Lei dice: “Usa uno stratagemma. Finge di interessarsi e di interessarsi molto alla realtà esterna.” Con tale affermazione fa crollare l’idea che si ha dei poeti: spesso fotografati come esseri fragili, insicuri, poco realistici, sognatori…
Quale stratagemma utilizza il poeta per esprimersi?

“Questo frammento ha un tono ironico, non credo totalmente a quello che ho detto. Mi sembra che a volte i poeti o i romanzieri credano che quello che hanno da dire è difficile da esprimere e quindi quando succede qualcosa nel mondo reale nel libro si trasforma in una catastrofe o in un elogio. Non sempre lo scrittore è coinvolto in prima persona in quello che scrive e allora si usano questi stratagemmi, ovvero utilizzare degli eventi che siano intellegibili, empirici, fisici, concreti, degli eventi che siano totalmente tuoi.”

Adam Zagajewski / credit ph di Stefano Strezzabosco

Ci parla dell’ineffabile ‘cinismo’ della poesia e della paura che ha la poesia di svelare il proprio “segreto”… Poi dice che la poesia ha un cuore freddo… ci dice che la realtà capirà improvvisamente di essere stata soltanto un pozzo inesauribile di metafore e scomparirà. E la poesia resterà sola al mondo, muta, vuota, triste e incomunicabile…
Che significa? Davvero la poesia ha un cuore freddo? Davvero la poesia teme che qualcuno possa scoprire il suo segreto?

“Credo che nella poesia ci siano due aspetti. Il primo è il cuore di pietra. Quando, ad esempio, si scrive un elogio funebre, quando qualcuno che ami muore, il cuore non rimane insensibile e si sente concretamente l’affetto e la tristezza, ma, allo stesso tempo, se si vuole scrivere una buona poesia, bisogna pensare anche alle caratteristiche tecniche e trovare delle buone metafore. Non basta dire: ‘come sono triste!’ Quella è una cattiva poesia. Bisogna trovare un modo per trasmettere il messaggio e questo approccio formale è freddo. Quindi c’è l’aspetto emotivo, dato da un sentimento o da una sensazione, e poi c’è questo ‘interesse tecnico’ molto freddo. Come posso esprimermi, come posso dire una tale cosa in modo che anche gli altri la capiscano?” Continua a leggere