“Tutta una vita per chi vi deve ricordare”. Su Tersa morte di
Mario Benedetti
di Massimiliano Mandorlo
Un senso di umile e ostinata accettazione davanti alla morte attraversa Tersa morte di Benedetti, quasi in forma di testimonianza. Fin dall’essenzialità del titolo si possono cogliere i tratti, lucidi e taglienti, di questa sofferta osservazione della vita umana nel suo «continuo affaccendarsi», nei suoi minimi, concreti e dolorosi dettagli: «il malato ai due polmoni / i pantaloni larghi, /il viso con la pelle attaccata alle ossa», «il condizionatore Hisense», «l’abito blu / che mi avevi regalato e tutto il ricamo /del foulard», «la coperta sui piedi», fino ad arrivare a particolari anatomici descritti con nudo realismo: «mandami le ossa, mandami il cranio senza gli occhi, / la mascella aperta, spalancata, fissa nei denti […] Così fragile il tuo sorriso, / lo sguardo blu e gli zigomi, il metro e settantacinque». Quello di Benedetti pare essere un corpo a corpo con la vita e con la lingua, nel tentativo di superare una dolorosa impasse in cui riaffiorano con durezza e commozione, senza enfasi od orpelli, i ricordi indelebili di una vita: «Le parole non sono per chi non c’è più. / Si commuovono e possono dire il viso morto. / Gli occhi erano quelli che mostrava, /il vestito sepolto quello visto altre volte. / Vedere che non ci sei più, non dire niente». Continua a leggere