Alessandro Santese, “Carezzami ti prego”

Un’opera d’esordio folgorante: Santese con “Vento nelle mani degli uomini”, ci riporta a una poesia di ampio respiro, a uno spazio cosmico che tutto crea e distrugge.

Alessandro Santese

Dimenticate

Si sbracciano come in un sogno
o è l’abbraccio del fuoco e voi: dimenticate.
Dimenticate la gioia
che vi reclama e vi sfa
i gesti dentro un solo grande giorno di luce
che qualcuno disse la vita.
Dimenticate le mura che si aprono,
le macerie e il sale
d’ogni pianto che sbriciola
vetri e pensiero
e prepara il verde luminoso dei prati
mentre giorno dopo giorno
mette spore, dimenticate il bambino
scalzo che vola nell’aria e i bambini, tutti, il grande buio e
l’impossibile, il silenzio
che vi cresce intorno e prepara tutto,
e mai lo dite,
dimenticate le madri
che camminano nell’ombra e abbracciate in sogno fino all’ultimo
respiro, i vivi e
i morti che mai si ricongiungono. Questi sassi scagliati
contro un viso qualunque.
Dimenticate.
Tutto.

Ricomincerete: non il centro del buio
l’uscita dal buio era la sporgenza
alla fine, come in premio, la vita.

Oh ma questo no. Oh questo,
non lo dimenticate.

*

Carezzami ti prego

Carezzami ti prego in questa notte sterminata
di voci e vetri grano grano ricomposti
nella carne
che ci tiene
svegli, alla notte, lungo un filo. Sai, è stato un attimo, e poi
siamo stati cancellati
dal canto e del mondo per ritornare
nel sangue
che agghiaccia un giorno
dentro un volto, e prende
un corpo, un altro
ancora e
sfiora vite, vede vite, sente vita alle labbra, prende
contorni e chiaroscuri, luci
e risa. L’attimo, l’unico, e poi…
fu luce immensa ai vetri
chiamò improvvisi all’amore
d’ogni solco nella carne
mia e tua, nella mente, d’ogni vuoto
bacio e ti lascio e ti lasciano i giorni
per entrare ora, dentro, nelle
ossa
fino al bruciare
improvviso del cristallino dentro un battito: “ora”,
ti prego, lasciami
entrare, o sarà niente
e saremo niente
polvere lacrime
di gioia e mai più.

*

Da me a te

Ciò che cade tra le mani e squarcia le mani, a metà: le apre nel      [sangue
una poesia, un grumo di luce e sogno, una liberazione
per coloro che vengono e ci leggono dentro
ogni cosa, le ramificazioni screziate dell’essere, l’albero fulgido, chinandoci la testa sopra
per morirci
sdraiati od entrare,
nel fiato della nottola nel sibilo della caverna
del firmamento che
rotea
assottigliandosi
nella marea delle nuvole sopra la fronte
come il bastone sollevato
a due mani per fare paura l’uccello grandissimo della morte, chiamando tutti
i venti a raccolta
nella scatola del cartone, nell’erba,
nella buca del pozzo,
nel granulo iridato di polvere
che slaccia volando
i capelli lunghissimi
alla donna
dispiegandoli nell’aria,

leggono: dei giocattoli del ridere e della gioia piovuti
dal baratro del firmamento
e nascosti, ora dopo ora, dentro il verde della terra,
della punta della piroga che si frantuma
come le ossa contro l’onda del nulla
dalla quale, un giorno, a nuoto, si nasce,

leggono
delle unghie dell’orso sognate in sogno
è un giorno conficcate
lentamente
nel costato,

delle lingue inusitate e demolite
avverate nel libro di tutti i leggenti
di tutti i veggenti
di tutti i soldati
di tutti i salpati,
i giochi, gli ammanchi,

del battito miracolato dei cento talloni
sulla terra arrossata di polvere
per il troppo danzare, per il troppo gioire, per il troppo ardere,
perché la falena elettrica degli occhi
sbigottisse una mattina di fronte alla pagina bianca e sterminata
del libro della poesia aperto sulle cosce
dal quale andavano leggendo,
leggendo, dell’uomo e della
donna, accovacciati l’uno nell’altra, mentre disegnano
per terra, senza volerlo, in silenzio,
gridando, una storia diversa,
accovacciata in altre storie,
granello di sabbia in granello di sabbia, da te a tutti, saltando tutto, ogni cosa; da me a te.

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Alessandro Santese, “Vento nelle mani degli uomini”

Alessandro Santese

A N T E P R I M A      E D I T O R I A L E

 

Il 21 aprile 2022 esce con Nicola Crocetti Editore, il secondo volume di poesie di Alessandro Santese:  Vento nelle mani degli uomini

Con la sezione Dimenticate contenuta nella nuova raccolta di versi, Alessandro Santese, nato a Roma nel 1990, nel 2019 ha vinto il Premio Poesia Città di Fiumicino per l’Opera Inedita, da una giuria composta da Milo de Angelis, Fabrizio Fantoni, Emanuele Trevi, Luigia Sorrentino. Presidente Gianni Caruso. Ci fa piacere proporre per la prima volta su questo blog in anteprima editoriale una scelta di quattro poesie fra molte altre, con le quali Alessandro ha vinto il Premio, poesie poi pubblicate in plaquette con la mia Prefazione – qui sotto riportata –  Edizioni Corte Micina, 2019 come previsto dal Regolamento del Premio.

(Luigia Sorrentino)

 

Alessandro Santese
da Dimenticate

Perché ogni cosa venga dal fuoco
per ritornare al fuoco

Orizzonte delle intersecanti

Tutto il tempo saremo
che ci siamo promessi
un giorno
come le cose che ci dicemmo a bassa voce, tra le mani
congiunte, per paura che il mondo ce le rubasse,
in un refolo:
entrerai nel gelo del ferro stringendolo all’infinito
come un figlio
di cui senti le frasi nel sonno cadere a manciate
come le ossa
la neve
del corpo piccolo un giorno al fondo di un cortile
che si diventa:

e sono grida bianche
cresciute dentro
a una a una che
sollevano la carne a un volo che precede
il dolore e lo scavalca,
ciò che dilegua la ridda delle ombre che s’assiepa
e distingue luce da
luce, momento vero e finale da momento: cola
un rivolo dai seni del latte
alla bocca che sanguina
ancora
un verso e giunge a voi, che rovesciaste lo spasmo
della testa contro la pietra del nulla
per troppo amore della vita
trovando il silenzio che non risponde
e dunque risponde:

sdraiato, ricordo, mi vedo
vedo il bambino che guarda sdraiato e cieco
il cielo, che sente addosso
come una imminenza.
All’improvviso, e vede. Bambino e sdraiato io, ti vedo.

Stare felici nei giorni non era stare qui.

Oh lingua che si sfa e voi, oh; vento.

 

Ma credete, vi prego

Ma credete, vi prego, a questo gelo che chiude
gli occhi solo un attimo ed è per sempre, al corridoio
immerso nelle dieci della mattina
che si colma d’una radio feroce, e le finestre, ognuna, ogni fiore
che poi tocchi, credete
al gesto che d’improvviso sa il diluvio nel respiro
poi un caldo minerale
e si entra
a poco a poco nell’ombra,
i piedi scalzi, il fermaglio,
la maglia e la terra,
questo schianto prolungato delle voci
alle tue porte, e prima, prima ancora
dell’asfalto, del suo grido che incontra una notte
su una tangenziale il bacio delle lamiere,
dei nomi l’ultima verità, e li spoglia, per tutti,
Alessio e Giulia in questo unico
esatto gelo del corpo, sposi,
e voi, che vi amerete nella gioia
e nella malattia,
nel dolore e nel terrore, vi prego, finché un bianco viscerale
vi chieda ancora alla luce, al prodigio
d’un grumo che chiamate parola
e sarà ogni cosa, tutto
come la via che portava
e riportava ogni giorno
al lavoro, che si faceva insieme, per venirti a riprendere
con gli occhi stanchi, per quel guizzo
che ti attraversava un attimo il viso,
sedendoci per lo spavento,
mettendoci accanto, sui sedili, entriamo, amore, entriamo
nell’ombra.

 

Io sono il morbo

Io sono il morbo
che t’ossessiona
gli occhi e tritura
il passato nelle maree dei senza volto,
dei mai vissuti, il bastone adesso
ha chiuso il cerchio
come la testa lanciata
nelle mani: è ora di entrare
e lasciarci tutto,
saranno cancellati anni
e preghiere l’intera terra del corpo
se nervi pulsano
saranno sradicati
uno, ad uno.

Io sono il ventre disseccato
che m’appartiene
il verme nella nuca trapunta
dalla mosca,
io sono del tempo
che non fa testimoni e scrive
formule malcerte sulla sabbia. Ora senti le bocche loro
aperte nel buio
dal sale, il collo torcersi oltre i vetri
dai balconi: si girano al temporale,
lo sanno vicino, sporgono
la fronte alla benedizione della pioggia. Continua a leggere