Califia è un libro che la nostra poesia d’oggi aspettava. Necessario, augurale. Bortolussi qui fonde lirica ed epica in un poema potente, di ampia e profonda risonanza. Califia è il primo nome dato alla California da Cortés, toccando le rive di quella terra, convinto che fosse un’isola: la battezzò così in onore di una leggendaria regina di donne guerriere in un’isola immaginaria dell’oceano indiano.
Califia è una sorta di “viaggio a Occidente” mentale e poetico, un “tutto” poematico e in parte drammaturgico, un’immersione nel profondo di una terra vista e vissuta come luogo di meraviglie e ierofanie, in cui mito e contemporaneo si fondono: il surfer, il povero migrante messicano vittima sacrificale dal coguaro, la musica West Coast anni Sessanta il grande regista Billy Wilder che assume la voce di Coyote, nella realtà atemporale, incantante di questa Atlantide americana. Le Metamorfosi di Ovidio, lo sciamanesimo degli indiani d’America, l’ombra di Hart Crane, il poeta del ponte di Brooklin, la lezione di Ritsos, Walcott, pochissimi altri autori “poematici” del nostro tempo, animano, in un respiro internazionale, una versificazione pacata e ardente, ventosa e narrante: un’indicazione di rotta per i poeti delle nuove generazioni: “-perché come mi ha dettato questa terra,/come di questa terra hanno scritto i suoi poeti,/ io sarò il viaggio, il viaggio sarà me.”
ROBERTO MUSSAPI