Nota di Valeria Di Felice
La camera dei ragazzi è un’opera fluttuante tra tempi esterni e tempi interni. La storia collettiva – quella dei grandi eventi che hanno accompagnato i destini di interi popoli – e la storia individuale incrociano i propri sguardi in un dialogo intenso nel quale il poeta olandese Willem van Toorn ripercorre le tappe della sua vita ed espande attraverso la poesia quell’orizzonte che è la «striscia di pensieri che scorre tra terra / e aria insondabile».
Ad una prima lettura, veniamo catturati dalle vicende di W, terzo figlio di una famiglia di provincia che per motivi economici si trasferisce ad Amsterdam. Qui nasce negli anni Trenta, frequenta la scuola, sperimenta le prime amicizie, i primi amori, i primi ideali. Ed ecco che la camera dei ragazzi, «una segreta grotta al buio quando il lavoro si ferma», dietro la sartoria del padre, è il luogo dove W con i suoi fratelli parla di cose proibite, si confronta su temi politici e religiosi, inizia ad avere le prime intuizioni sul mondo, un mondo che conosce la seconda guerra mondiale e le sue inesorabili conseguenze. Inconsapevole del fatto che «in nessun posto potrà mai sentirsi a casa come in quella d’infanzia, malgrado crisi, guerre, straniamento», W cresce, diventa un insegnante, trova l’amore, cerca la sua identità nella città “rinata”, nei viaggi, nei segni di una storia che evolve continuamente.
Ad una seconda lettura, ci accorgiamo che dietro a ogni poesia rivive più che un ricordo, rivive l’essenza di uno sguardo che osserva attentamente se stesso e l’uomo, rivive la purezza disincantata – e per questo coraggiosa – di un ragazzo che ritrova la sua Origine.
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